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La parola “Cina” è un tabù, come spesso accade al governo italiano dopo la decisione di non rinnovare il memorandum d’intesa sulla Belt and Road Initiative, la cosiddetta Via della Seta, sottoscritto nel 2019 dal governo gialloverde. Sarebbero inutili provocazioni, si dice a Palazzo Chigi. Meglio non citarla con accezioni negative soprattutto oggi che Sergio Mattarella, presidente della Repubblica, è atterrato a Pechino dov’è atteso dal leader Xi Jinping per celebrare il partenariato strategico globale rilanciato come nuovo quadro per i rapporti bilaterali.

Ma evidentemente, come raccontato nei giorni scorsi su Formiche.net, la Cina è lo Stato più toccato dal piano d’azione nazionale per tutelare l’università e la ricerca italiane dalle ingerenze straniere annunciato oggi a Palazzo Chigi da Anna Maria Bernini, ministra dell’Università e della ricerca, e dal sottosegretario Alfredo Mantovano, Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica. L’ha detto a febbraio il prefetto Mario Parente, allora direttore dell’Aisi (ad aprile è andato in pensione passando la direzione al prefetto Bruno Valensise), presentando la relazione annuale dell’intelligence: la Cina ha “finalità di acquisire un patrimonio informativo e li porta a rivolgersi anche a circuiti universitari”. Le università, in particolare, “possono essere infiltrate, anche attraverso finanziamenti più o meno mediati”. Da parte dell’intelligence c’è “un’attenzione molto forte”, aveva aggiunto.

Oggi, annunciando il piano che dovrebbe essere presentato a dicembre (in occasione del G7 a Bari sulla sicurezza della ricerca), il sottosegretario Mantovano ha ribadito che il fenomeno è monitorato “da tempo” dalla nostra intelligence. I servizi hanno notato negli anni strategie “sempre più sofisticate” contro l’Italia, una delle nazioni “più esposti” in quanto produce “molta innovazione”. Biomedicina, robotica e semiconduttori i settori più colpiti. Non ha mai citato la Cina, però. “Non c’è un elenco dei Paesi insicuri, c’è un’attenzione a largo spettro”, ha detto rispondendo a una domanda sugli attori ostili e in particolare la Cina. Il piano “non è contro qualcuno” ma a “tutela” della ricerca, ha aggiunto. “Non esistono Paesi buoni o cattivi, esistono buone o cattive pratiche”, ha ribadito Bernini evidenziando che Italia e Cina collaborano. Lo dimostra, ha continuato, il recente memorandum tra il suo ministero e il suo omologo sull’intelligenza artificiale e sul patrimonio culturale.

Mantovano ha fatto riferimento agli impegni in sede europea. Infatti, il piano è il prodotto delle raccomandazioni adottate dal Consiglio Competitività (ovvero dai 27 Stati) lo scorso maggio, ha tenuto a evidenziare. Per ora, sono stati organizzati un sondaggio per i ricercatori e due workshop di confronto in materia. L’obiettivo è riempire un “vuoto di protezione” per la sicurezza della ricerca e la sicurezza nazionale senza alcuna volontà di “controllo della ricerca”, ha spiegato l’Autorità delegata.

Il modello italiano “efficace e non invasivo” poggia su tre pilastri: non gravare sulle attività quotidiane delle istituzioni di ricerca; prevedere linee guida nazionali; offrire moduli formativi e informativi oltre a suggerimenti di mitigazione a seconda delle diverse situazioni e dei rischi. Una sorta di semaforo che, su base auto-valutativa: con luce verde si va avanti; con luce gialla si rallenta e si controlla meglio; con luce rossa ci si ferma e si approfondisce il rischio, anche grazie alla collaborazione di un centro di riferimento nazionale che dovrebbe essere al Mur. L’intento del governo è arrivare ad un sistema operativo e diffuso a tutte le università ed enti di ricerca entro il 2026, dopo una fase sperimentale nel 2025.

Intanto, il ministero dell’Università e della ricerca è stato recentemente inserito nel Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica per “un coinvolgimento informativo nel circuito intelligence” come ha evidenziato Mantovano. Inoltre, a luglio è stato convocato per la prima volta al Mur un tavolo interministeriale sulla sicurezza della ricerca che ha coinvolto anche l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale e il Garante per la Protezione dei dati personali. All’interno di questi sforzi rientra il nuovo Portale di prevenzione economico-finanziaria, curato dall’Aisi e presentato a inizio anno. Il tutto, sotto la regia del Dis, la struttura che coordina il lavoro delle due agenzie d’intelligence italiane, al quale la legge che disciplina il Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica (la legge 124 del 2007) attribuisce la cura di “attività di promozione e diffusione della cultura della sicurezza e la comunicazione istituzionale”. L’intelligence, si legge, “collabora con i principali atenei e centri di ricerca italiani nella diffusione della ‘cultura della sicurezza’ con l’obbiettivo di aiutare docenti, ricercatori accademici e staff nella tutela della sicurezza di ricerche e progetti”.

Questo scambio informativo non può che poggiare sulla raccolta e sull’analisi informative, che in merito di sicurezza della ricerca, come in tutte le minacce ibride, non ha confini. Nel caso italiano, all’Aisi spetta il controspionaggio, mentre la raccolta informativa (per non utilizzare la parola “spionaggio”) spetta all’Aise. Appare evidente, dunque, su questa così come su tutte le altre minacce ibride, la necessità di una forte integrazione tanto all’interno dei due servizi quanto tra i due servizi. Un compito che la legge attribuisce, al pari della diffusione della cultura della sicurezza, al Dis.

Sicurezza della ricerca. Ecco il modello a cui pensa il governo italiano

Non limitare la ricerca ma proteggerla con linee guida nazionali e moduli formativi. Il sistema dovrebbe essere operativo nel 2026 dopo la fase sperimentale l’anno prossimo. “Non c’è un elenco dei Paesi insicuri”, ha spiegato il sottosegretario Mantovano rispondendo a una domanda sulle attività di Pechino. La ministra Bernini ha ribadito: “Esistono buone o cattive pratiche”

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