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Dopo il Canada, anche l’Australia ha deciso di sospendere il suo trattato di estradizione con Hong Kong. Il governo di Canberra, guidato da Scott Morrison, ha deciso anche di estendere i visti per i residenti della città in risposta all’imposizione da parte della Cina della nuova legge sulla sicurezza nazionale sull’ex colonia britannica. Il premier ha spiegato che la decisione è figlia della nuova stretta di Pechino che “costituisce un cambiamento fondamentale delle circostanze” nella Regione. Canberra prolungherà inoltre di cinque anni i visti di circa 10.000 cittadini di Hong Kong che vivono nel paese e ha lanciato anche un invito ai servizi finanziari internazionali, le società di consulenza e di media con sede regionale a Hong Kong a trasferirsi in Australia attivando incentivi e pacchetti di visti per trasferire il personale. “Vogliamo che guardino verso l’Australia, che vengano e che aprano i loro negozi”, ha detto il ministro per l’Immigrazione Alan Tudge.

TENSIONI NEL PACIFICO

La scelta di Canberra non è piaciuta a Pechino che, tramite il portavoce del ministero degli Esteri Zhao Lijian, ha minacciato azioni di risposta. L’Australia deve “cambiare rotta e smettere di interferire negli affari della Cina”, ha spiegato il diplomatico rilanciando l’avvertimento già manifestato dall’ambasciata cinese a Canberra: “Esortiamo la parte australiana a smettere di intromettersi con qualsiasi pretesto negli affari di Hong Kong e negli affari interni della Cina”, poiché tale comportamento potrebbe risultare “un’arma a doppio taglio”, aveva dichiarato un portavoce della rappresentanza.

I Five Eyes sembrano compatti sul tema: se Australia e Canada hanno già agito, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti stanno rivedendo i loro trattato di estradizione con Hong Kong. Sempre più in orbita Five Eyes c’è il Giappone, coinvolto dagli Stati Uniti e dall’Australia nei recenti vertici ministeriali di Difesa ed Esteri con l’intento di rafforzare l’asse anticinese nel Pacifico.  Basti pensare che, dopo una videoconferenza con gli omologhi Mike Esper degli Stati Uniti e Linda Reynolds dell’Australia, il ministro della Difesa giapponese Tarō Kōno è intervenuto di fronte alla Dieta affermando che il Giappone intende unirsi a “Paesi dagli orientamenti affini” per “opporsi con forza ai tentativi della Cina” di mutare lo status quo regionale.

L’UE PRENDE TEMPO

Stamattina la newsletter Brussels Playbook di Politico Europe ricostruisce il dibattito all’interno dell’Unione europea sulla legge sulla sicurezza nazionale imposta da Pechino su Hong Kong. “Francia e Germania hanno lanciato idee su come reagire alla Cina”, scrive il giornale. “Le idee, discusse tra gli ambasciatori e non scritte sulla carta, comprendono il coordinamento delle politiche in materia di visti per gli attivisti che affrontano la repressione, l’estensione delle borse di studio per Hong Kong e in particolare un’ulteriore limitazione delle vendite di armi in Cina, dopo quella imposta nel 1989 in seguito alla violenta soppressione delle proteste in piazza Tienanmen”.

Se ne è discusso mercoledì, in preparazione del Consiglio Affari esteri di lunedì, quando i capi delle diplomazie dei 27 affronteranno il tema. “Non c’è abbastanza tempo per i preparativi dovuti”, ha detto un diplomatico a Politico Europe. Altri hanno sottolineato come questi siano campi di competenza dei singoli Stati. Già escluse dal tavolo le sanzioni (qui si è fatto sentire il peso della cancelliera tedesca Angela Merkel, in queste settimane silente su Hong Kong per paura di ritorsioni contro le società tedesche in Cina). Lunedì si prenderà tempo, spiegando fonti europee a Formiche.net confermando quanto riportato da Politico Europe: “Per adesso, la discussione non sta andando verso le sanzioni, ma verso una richiesta al Servizio europeo per l’azione esterna (cioè la macchina diplomatica dell’Unione europea, ndr) di preparare un ‘documento di opzioni’”.

Hong Kong, anche l'Australia contro la Cina. E l'Ue?

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