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Dopo i lavoratori socialmente utili, ausiliari del traffico, navigator, il lessico della politica introduce gli assistenti civici.

Secondo quanto reso noto, gli assistenti civici verranno scelti sulla base di candidature volontarie tra inoccupati, pensionati, percettori di reddito di cittadinanza o fruitori di ammortizzatori sociali. Essi saranno impiegati dai sindaci, con il coordinamento della Protezione Civile, “per attività sociali, per collaborare al rispetto del distanziamento sociale e per dare un sostegno alla parte più debole della popolazione” fino al termine dell’emergenza Covid-19.

In altre parole, gli assistenti civici dovrebbero provvedere ad arginare la diffusione del Covid-19, richiamando “con gentilezza” (come precisa la nota ministeriale) al distanziamento sociale, all’uso delle mascherine, alle cautele nel lavarsi frequentemente le mani con sapone o gel a base alcolica nei bar, nei parchi, sulle spiagge. Fare, cioè, quello che non riescono a fare le forze di polizia locale, che pure di qualche potere sanzionatorio, sarebbero dotate.

L’idea di usare la spinta gentile di volontari coordinati dalla Protezione civile riflette in pieno la fase di incertezza decisionale con cui il governo sta affrontando la Fase due. Se alcune attività sono lecite (perché bar, ristoranti, parchi, spiagge sono aperti, perché è possibile uscire a frequentarli senza vincoli), è consequenziale pensare – in assenza di uno stato etico – che i cittadini siano legittimati a farne l’uso che “è consentito”. Se esistono divieti è necessario prevedere che siano organi di polizia a rilevarne il rispetto e a sanzionarne la violazione. Pensare di scaricare su sessantamila volontari privi di poteri la responsabilità di far rispettare principi di buon senso e prudenza (e non di legge) è un’operazione cinica verso i volontari, che pure, in questa fase, andranno selezionati e formati per le funzioni, del tutto nuove, che andranno a svolgere.

Insomma, al di là delle buone parole dedicate al ruolo che il sociale italiano ha svolto nel corso della pandemia e del lockdown, il provvedimento sugli assistenti civici riserva a questo specifico volontariato il consueto approccio che la politica italiana ha sempre avuto verso i volontari: chiedere, in sussidiarietà, di realizzare quanto le articolazioni amministrative statali non riuscivano, spesso per vincoli di bilancio, a fare sul territorio, per una cifra necessariamente inferiore a quella di mercato. Un approccio cinico della politica, che fa affidamento sulla buona volontà e sulle straordinarie capacità del volontariato italiano di rimediare ai fallimenti di Stato e mercato e di portare risposte agli individui e ai gruppi in situazioni di reale bisogno. Un approccio che si sperava fosse terminato in questa fase emergenziale, e che, invece, ha dimostrato una volta di più il proprio atteggiamento freddo e indifferente, ponendo in carico agli assistenti civici compiti al di sopra delle potenzialità e degli strumenti di cui saranno dotati, invece di fare chiarezza su liceità e limiti dei comportamenti collettivi e di porre il relativo sistema di controlli alle autorità statali dotate di adeguati poteri in merito.

Sembra condivisibile in questa sede la posizione di Vita, il giornale del volontariato, che sostiene che un approccio simile consideri il ruolo dei volontari alla stregua degli ausiliari del traffico.

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