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Forse, alla fine, la strategia può anche funzionare. A mente fredda, Donald Trump ha ottenuto quello che voleva: portare decine di governi al tavolo dei negoziati sui dazi. La moratoria di tre mesi decisa dal presidente degli Stati Uniti va esattamente in questa direzione. Certo, anche i crolli in Borsa e la perdita di slancio del dollaro hanno avuto un effetto emotivo sul capo della Casa Bianca, costringendolo ad azionare la leva del freno d’emergenza, prima che anche l’economia americana cominciasse a sobbalzare.

Di sicuro la Cina rimane l’obiettivo numero uno di Trump. Oggi il Dragone, che ha svalutato lo yuan onshore, dunque domestico, facendolo cadere ai minimi dal 2007, se la deve vedere con dazi al 125% sulle merci importate negli Usa. E dal momento che si sta parlando dei due principali partner commerciali mondiali, anche a Pechino conviene non forzare troppo la mano, ingaggiando un corpo a corpo a oltranza. La prova è nelle parole del portavoce del ministro degli Esteri, Lin Jian. “La Cina non desidera combattere, ma non ha paura di farlo. I dazi sono una palese sfida ai principi universali e uno scontro con il mondo intero”.

Tradotto, negoziare è possibile, così come per gli altri Paesi. Ma se non sarà possibile, allora guerra sia. “Gli Stati Uniti hanno trasformato i dazi in un’arma per esercitare estrema pressione e ottenere un guadagno egoistico. Questo viola seriamente i diritti e gli interessi legittimi di tutti i Paesi, viola gravemente le regole del Wto, danneggia il sistema commerciale multilaterale basato su regole e compromette la stabilità dell’ordine economico globale”, ha affermato il portavoce di Lin, citato dal Global Times.

“Adottare le contromisure necessarie per contrastare le azioni intimidatorie degli Stati Uniti non significa solo salvaguardare la nostra sovranità, la nostra sicurezza e i nostri interessi di sviluppo, ma anche sostenere l’equità e la giustizia internazionale, proteggere il sistema commerciale multilaterale e difendere gli interessi comuni della comunità internazionale. Chi difende la giustizia ottiene ampio sostegno, mentre chi la contrasta ne ha poco. Le azioni sconsiderate e ingiuste degli Stati Uniti sono impopolari e alla fine si concluderanno con un fallimento”, ha proseguito Lin, ribadendo che “non ci sono vincitori nelle guerre tariffarie o commerciali”.

Conclusione: “se gli Stati Uniti vogliono davvero dialogare, dovrebbero dare prova di un atteggiamento di uguaglianza, rispetto e reciprocità ma se ignorano gli interessi di entrambi i Paesi e della comunità internazionale e insistono nel provocare una guerra tariffaria e commerciale, la risposta della Cina proseguirà”. Ma la porta è aperta. O quasi.

In Cina crolla lo yuan. E la strategia di Trump sui dazi attecchisce

Pechino non ha troppa voglia di ingaggiare un corpo a corpo a oltranza con Washington, a meno che non sia necessario. Forse il segno che quanto fatto con l’Europa, alla fine, può funzionare anche con il Dragone. Che intanto svaluta lo yuan ai minimi dal 2007

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