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Una stretta di mano sincera o imposta dalle circostanze? Il fugace momento di vicinanza tra Kamala Harris e Donald Trump alla commemorazione delle vittime dell’11 settembre ha sicuramente offerto un’immagine rassicurante di unità nazionale, dopo mesi di veleni e falsità (soprattutto da parte repubblicana, va detto a onor del vero) che hanno contribuito ad aumentare la polarizzazione nella già frammentata società statunitense. Molto probabilmente si è dunque trattato di una parentesi che si è aperta e chiusa nel giro di qualche minuto, ma che contribuisce a darci qualche informazione rispetto ai due sfidanti per la Casa Bianca e alle dinamiche sottese alla campagna elettorale.

Cominciando da Harris: la candidata democratica ha utilizzato la commemorazione degli attentati dell’11 settembre come un momento per rafforzare ulteriormente il suo profilo istituzionale, cosa che fino a poche settimane fa non sembrava affatto scontata. Per tre anni, infatti, aveva mantenuto un profilo decisamente basso senza ottenere una visibilità in linea con il proprio ruolo di vicepresidente. Tuttavia, ora che la figura di Joe Biden si fa sempre più sbiadita e meno in prima linea, lei sta emergendo come una candidata del tutto convincente. La conferma, del resto, si è avuta nel dibattito televisivo di alcuni giorni fa, che in un certo senso l’ha sdoganata affermandola come candidata solida, affidabile e in grado di mettere in luce i punti deboli della retorica trumpiana (come la frase sugli haitiani mangiatori di animali domestici).

Questa è, infatti, la ragione per cui il leader repubblicano è restio a concedere un secondo dibattito, dato che Harris è uscita rafforzata dal primo. Mentre lui si è limitato a riconfermare il suo linguaggio “forte” che fa direttamente appello ai suoi elettori più fedeli (e anche a Ground Zero ha ripetuto le sue invettive contro i pericolosi immigrati ergendosi a paladino dei confini statunitensi), lei ha, invece, cercato di rivolgersi anche a quella vasta platea di indecisi e moderati che non hanno ancora ben inquadrato quale sia la “vera” Kamala, cercando di fugare ogni dubbio sulle sue “simpatie” di estrema sinistra (peraltro decisamente improbabili) e proponendosi invece come una figura più rassicurante e vicina all’establishment. La candidata dem sta anche cercando di farsi conoscere e apprezzare nei 7 swing States, battendoli a tappeto e cercando anche di differenziarsi da Biden senza però rinnegarlo.

La forza di Harris sta anche nella realtà delle cose positive che sono state fatte durante la sua amministrazione con Biden e che Trump cerca di capovolgere insistendo sulla distorsione delle percezioni. I Democratici hanno infatti ottenuto una buona performance per quanto riguarda la gestione dell’economia e anche per le politiche migratorie, mettendo in atto provvedimenti rigidi che dalle nostre parti sarebbero bollati come di estrema destra. I Repubblicani, invece, cercano di sottolineare come la performance su questi due fronti sia stata disastrosa, venendo però sconfessati dai numeri.

In ogni caso, è stata una commemorazione che riesce ancora a toccare gli animi di tutti gli americani e che esalta l’eroismo dei vigili del fuoco di New York, molti dei quali erano peraltro italo-americani. Da questa base di unità nazionale il vincitore delle elezioni di novembre dovrebbe ripartire per cercare di ricostruire una comunità più coesa e in grado di riconoscere quei valori comuni che nell’ultimo decennio sembrano andati perduti.

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Il vincitore delle elezioni di novembre dovrebbe cercare di ricostruire una comunità più coesa e in grado di riconoscere quei valori comuni che nell’ultimo decennio sembrano andati perduti. Il commento dell’ambasciatore Giovanni Castellaneta

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