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Un minuto di silenzio per le vittime del Covid-19 ha aperto la 13esima Conferenza consultiva del popolo cinese. L’istituzione più vicina a un Parlamento in Cina si è riunita in sessione plenaria alla presenza del presidente-segretario Xi Jinping e di tutti i vertici del Partito comunista cinese (Pcc).

L’evento, che ogni anno a marzo (è stato rimandato per l’emergenza sanitaria) riunisce a Pechino migliaia di delegati da ogni provincia del Paese, offre alla leadership del partito l’opportunità di annunciare il programma di misure economici e sociali e annunciare dove si dirigerà il Paese nel medio-lungo periodo. Quest’anno la crisi economica ha vanificato i piani di crescita per diventare, parola di Xi, una “società moderatamente prospera”. Solo nel primo trimestre, il Dragone ha registrato una contrazione del Pil su base annua del 6,8%, ed è solo l’inizio.

L’appuntamento nella capitale dovrà fare i conti con questi numeri, spiega a Formiche.net Francesco Sisci, sinologo della China People University. “Il rilancio dell’economia certamente importantissimo. ci si aspetta una revisione delle previsioni di crescita intorno al 2-3% per quest’anno e un piano di stimolo di 5-6 mila miliardi di yuan, circa tra i 700 e gli 800 miliardi di euro. Nella distanza tra queste cifre vediamo la profondità della crisi del paese”.

Due gli altri grandi temi sul tavolo. Da una parte la proiezione internazionale del Paese. Non solo l’escalation di tensioni con gli Stati Uniti di Donald Trump, ma anche il “processo” internazionale in cui la Cina rischia di incappare per le responsabilità nella gestione della pandemia. Sono più di cento, ad oggi, gli Stati che hanno chiesto all’Oms un’indagine sulle origini del virus. Il dossier “sarà certamente dibattuto all’interno ma non sappiamo se e in che misura verrà palesato”, dice Sisci.

“L’epidemia è frutto della tensione politica e non viceversa. Quindi la Cina non vuole sottoporsi a un ‘processo politico’ sul coronavirus, almeno fin tanto che non ne ha concordato il verdetto in qualche misura. D’altro canto in Usa la politica anticinese è l’unico tratto unificante e in campagna elettorale, con oltre centomila morti e quasi 40 milioni di disoccupati che ‘arrivano a causa della Cina’, secondo la vulgata americana, credo sia praticamente impossibile a Washington trovare un consenso per una politica più sottile”, spiega il professore. Una via d’uscita “sarebbe una ‘iniziativa di fantasia’ dalla Cina nei prossimi due-tre mesi che cambi un po’ di carte in tavola. ma anche questo non so se potrà avvenire”.

Infine, aggiunge, “ci si aspetta l’approvazione del codice di diritto civile, che ha aspetti studiati dal codice civile italiano, che per primo ha integrato diritto civile e diritto commerciale. Il nuovo codice, allo studio da oltre 20 anni, dovrebbe essere un incoraggiamento importante all’impresa privata”. È un passaggio non secondario. Preannunciata nell’ottobre del 2014 dal partito, la revisione del codice è iniziata nel 2016 e proseguita fino al 2019. In ballo ci sono riforme di istituti rimasti intoccati per più di settant’anni, come il diritto matrimoniale.

Quanto alla leadership di Xi nel partito, dice il sinologo, non sarà messa in questione. “Non credo, perché è evidente che con poche eccezioni tutti gli altri Paesi hanno fatto peggio della Cina pur venendo dopo la Cina. Quindi Xi ha argomenti molto forti interni per dire di avere fatto benissimo pur in una circostanza così straordinaria. Ciò detto il vero problema è: quanto potere di contrasto ha ancora l’opposizione interna e sotterranea? Questo non è chiaro, dobbiamo vedere se ci saranno promozioni o emozioni importanti”.

L’attuazione del programma di Xi, e il consolidamento della sua leadership, passerà anche dallo scontro con gli Stati Uniti. In una recente intervista, Trump ha promesso un decoupling quasi totale delle tecnologie americane da quelle cinesi. Un processo che in parte è già iniziato, e costerà una fortuna alle rispettive economie. “Esso sta già accadendo. Il problema è in che misura e a che velocità. Un decoupling totale appare oggi diffide, ma un decoupling importante invece mi pare difficile da evitare”, dice Sisci.

Il caso di Huawei è il più eloquente. Il Dipartimento del Commercio americano ha aggiornato la normativa che regola le catene di fornitura americane, di fatto annunciando sanzioni a qualsiasi azienda (anche di Paesi terzi) che venda tecnologia con componenti americane al colosso tech cinese. Così ora Pechino è costretta a trovare vie alternative, e a “smontare” buona parte della supply chain che ha reso Huawei un campione mondiale della telefonia mobile.

Ma la battaglia per il 5G rimane ancora aperta, spiega il sinologo. “Quella della tecnologia non è un processo semplice. I cinesi hanno in passato sottovalutato gli americani, ora gli americani non dovrebbero sottovalutare i cinesi. Ma di certo se anche il 5G non sarà ‘ucciso’ non diventerà nemmeno lo standard globale come sembrava un anno fa. Ancora: per Paesi Nato potrebbe essere praticamente impossibile adottarlo”.

Sullo sfondo dell’Assemblea nazionale, si staglia un bilancio parziale del grande progetto cui Xi ha legato la sua segreteria del partito: la nuova Via della Seta (Belt and road initiative). Il piano mastodontico di infrastrutture via terra e via mare in Eurasia, Africa e Oceania è proseguito con molte battute di arresto in questi mesi. Se in Europa Xi ha trovato le porte aperte, lo stesso non si può dire di molti Stati dell’Asia centrale e sudorientale che hanno disdetto contratti e protestato contro la “trappola del debito” sottesa agli investimenti cinesi.

“Io credo che il piano idealmente sia rivoluzionario e ottimo – commenta Sisci –. Il problema è stata la sua applicazione spesso frettolosa e distratta. Esso è un piano politico che si regge sull’economia, e non viceversa, Quindi dovrebbe oggi essere profondamente ripensato. Così com’è oggi di certo non può andare avanti facilmente”.

Riforme, 5G, decoupling con Usa. La Cina di Xi Jinping allo specchio. Parla Sisci

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