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“Contro ogni possibile dubbio, Alexei Navalny è stato avvelenato da un agente nervino di origine militare che fa parte della famiglia del Novichok”. Le parole lapidarie del segretario generale Jens Stoltenberg a margine del Consiglio Atlantico convocato per oggi sul tema certificano la linea compatta della Nato, che chiede verità a Mosca sull’avvelenamento del dissidente del presidente Vladimir Putin. Prevedibile e pressoché immediata la risposta russa. “La Russia non può condividere informazioni sull’agente nervino perché non lo produce”, hanno affermato fonti del Cremlino.

LE PAROLE DI STOLTENBERG

“Il Consiglio atlantico si è riunito per oggi per discutere dello scioccante tentativo di assassinio di Alexei Navalny”, ha affermato Stoltenberg all’apertura della conferenza stampa. “Tutti gli alleati sono uniti nel condannare questo attacco – ha continuato – e sono d’accordo che la Russia debba dare delle risposte a questi importanti interrogativi”. Il segretario, poi, sottolineando come l’utilizzo delle armi chimiche sia contrario alle norme del diritto internazionale su cui si fonda l’Alleanza, ha invitato la Russia a collaborare con l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opcw) durante le indagini internazionali. “Chiediamo alla Russia, inoltre, di rivelare all’Opcw tutti i dettagli sul programma Novichok”, ha concluso Stoltenberg.

IL VELENO

In un precedente articolo, Formiche aveva già sottolineato come – secondo Vil Mirzayanov, scienziato russo tra i massimi esperti di armi chimiche al mondo e primo ad aver rivelato l’esistenza di questo particolare agente nervino – il Novichok è una sostanza militare altamente pericolosa e instabile, non reperibile sul mercato clandestino dei veleni. Nel 2018, il Gru (il servizio segreto militare del Cremlino) aveva impiegato questa sostanza nel tentato assassinio dell’ex spia russa Sergei Skripal e di sua figlia Yulia. Non si è fatta attendere, però, la risposta (prevedibile) di Mosca.

LE ACCUSE INTERNAZIONALI E IL RUOLO DI BERLINO

La dura presa di posizione dei trenta Stati atlantici può essere considerata, però, solo come l’ultimo capitolo di una lunga serie di accuse che hanno colpito Mosca nell’ultimo periodo. Dopo il trasferimento di Navalny dall’ospedale siberiano di Omsk a quello tedesco di Berlino e i test di laboratorio che hanno evidenziato la presenza di tracce dell’agente nervino nell’organismo dell’attivista politico russo, sono state molteplici le richieste di verità rivolte verso gli apparati politico-militari russi. Se Parigi ha definito l’uso del Novichok come “scioccante e irresponsabile” e Washington si è detta “profondamente turbata da un’azione riprovevole”, il premier britannico Boris Johnson si è detto deciso a “lavorare con i partner internazionali per garantire che sia fatta giustizia” e l’Unione europea ha bollato l’atto come “spregevole e codardo”.

LA LEADERSHIP TEDESCA

Non si è fatta attendere nemmeno la nota ufficiale della Farnesina: “l’Italia esprime profonda preoccupazione e indignazione per l’identificazione da parte delle competenti autorità tedesche di un agente nervino come causa dell’avvelenamento dell’attivista russo Alexei Navalny”. Dura anche la risposta di Berlino, a capo del Consiglio dell’Unione europea e sempre più al centro della diplomazia del Vecchio continente. “Il crimine contro Alexei Navalny è un crimine contro i valori fondamentali e i diritti fondamentali che difendiamo”, ha detto in conferenza stampa Angela Merkel, la prima a esporsi sul tema. Nonostante i rapporti con Mosca (si guardi ad esempio alla costruzione del gasdotto North Stream 2), Berlino si è messa alla testa della ricerca della verità riguardo il caso Navalny. Un ruolo, quello di leader, riconosciuto anche dallo stesso Stoltenberg. Non sono sfuggiti, infatti, i diversi riferimenti alle mosse della cancelleria tedesca fatti dal Segretario generale Nato, tanto riguardo l’avvelenamento di Navalny quanto sul dossier, forse ancora più spinoso, del Mediterraneo orientale.

LA NATO PROMUOVE IL DIALOGO MILITARE TRA ATENE E ANKARA

Sollecitato da un giornalista, Stoltenberg ha confermato quanto affermato ieri in tweet, ovvero l’avvio di “technical talks” tra Grecia e Turchia al fine di smorzare le crescenti tensioni registrate nel Mediterraneo Orientale. “I colloqui tra Grecia e Turchia, promossi dalla Nato, si stanno svolgendo a livello militare ma le parti non hanno ancora raggiunto un accordo”, ha detto Stoltenberg. “La Nato – ha continuato – si sta preoccupando di mitigare la tensione militare tra i due alleati”. Le affermazioni di Stoltenberg sembrano smentire, quindi, le fonti diplomatiche greche che ieri negavano l’esistenza di contatti diplomatici tra i due stati. Nonostante le smentite e le difficoltà di un dossier tutto in divenire, sembrerebbe che l’Alleanza abbia deciso di sfruttare il proprio peso e i propri canali diplomatici per evitare una più ampia frattura tra i due stati atlantici. Una posizione in linea con il pensiero espresso da Sinan Ülgen (diplomatico turco e visiting scholar presso Carnegie Europe) e da Anna Wieslander (direttore per il Nord Europea presso l’Atlantic Council) in un dibattito virtuale pubblicato ieri sulle pagine di Carnegie Europe. Similmente, inoltre, a quanto avvenuto in merito al caso Navalny, il segretario generale ha rimarcato la leadership diplomatica di Berlino nella risoluzione della controversia tra i due stati che si affacciano sull’Egeo. “Le discussioni promosse dall’Alleanza non sostituiscono le attività diplomatiche della Germania”, ha precisato Stoltenberg.

Navalny, l’Alleanza atlantica parla tedesco e avvisa Putin. Ecco come

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