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Tutti i nodi vengono al pettine. Prima o poi. Questa settimana i ministri degli Esteri europei hanno tentato di sciogliere quello delle rivendicazioni di Ankara sul Mediterraneo orientale, che hanno bruscamente innalzato le tensioni fra Grecia e Turchia e trascinato la Marina militare francese in esercitazioni militari congiunte con quella ellenica. Gesto dimostrativo, ma chiaro messaggio di sostegno ad Atene. Parigi vuole forti sanzioni Ue contro la Turchia. La decisione è slittata al vertice dei leader del 24 settembre, ma la riunione dei ministri è stata la prova generale di una comune linea europea.

Tutto fa pensare che sarà problematica. Alla linea dura di Francia, Grecia e Cipro fa riscontro una più dialogante, se non conciliatoria, della Germania. Il rapporto dell’Ue con la Turchia è complesso con molte sfaccettature (il contenzioso greco-turco per quanto critico è solo una di esse). C’è l’immigrazione: Ankara controlla il rubinetto dei flussi di rifugiati dalla Siria. C’è la Libia, dove il sostegno armato di Ankara al governo di Tripoli, internazionalmente riconosciuto, ha permesso di pareggiare i conti militari e di respingere l’offensiva di Khalifa Haftar; se adesso le due parti della guerra civile parlano di negoziato e una soluzione politica, è perché gli aiuti turchi hanno salvato Fayez al Sarraj. C’è sullo sfondo la pressoché ventennale candidatura turca all’Ue in cui nessuno ormai crede più ma nessuno ha il coraggio di riconoscerlo e di cercare alternative. C’è la contesa per le risorse energetiche del Mediterraneo che coinvolge anche altri Paesi come Egitto e Israele in un fronte essenzialmente anti-turco.

Faticando a trovare una linea comune l’Ue probabilmente ricadrà sul minimo denominatore comune di modeste sanzioni che irritano (specialmente chi ha la pelle sensibile come Recep Tayyip Erdogan) ma non fanno male. E la situazione continuerà ad incancrenirsi pericolosamente.

Il nodo greco-turco non può essere sciolto senza una completa rivisitazione del rapporto Ue-Turchia. Se la “membership” non è più un’opzione credibile in un prevedibile futuro, cosa fare con Ankara? Esiste una ragionevole terza via? Sarebbe ora che sia Bruxelles (e Parigi, Berlino, Roma, Madrid ecc.) e Ankara dovrebbero cominciare a porsi e ad affrontare costruttivamente. Gli europei non vogliono consegnare la Turchia alle sabbie mobili mediorientali e alle nostalgie neo-ottomane. La Turchia, Erdogan compreso, non vuole l’isolamento dall’Europa e dall’Occidente. I ponti sul Bosforo fanno comodo ad entrambe le sponde.

L’eccentricità di Ankara mette alla prova la Nato non meno dell’Ue, con ulteriore complicazione e un’aggravante. La complicazione deriva dal fatto che tutti i principali interessati – Turchia, Grecia, Francia, Germania, Italia, Spagna, Regno Unito – sono membri dell’Alleanza. L’aggravante è il giro di valzer turco con l’Orso russo che porta in dote le batterie anti-missile S-400. Eppure la Nato è finora riuscita a far quadrare il cerchio in quello che è, alla fine dei giochi, il riconoscimento che l’una ha bisogno dell’altra. Ma questo vale anche per il rapporto Ue-Turchia.

In tempi normali sul contenzioso greco-turco si sarebbe fortemente mobilitata la diplomazia americana, come fece in maniera decisiva nel 1974 e nel 1996. Non è detto che ciò non avvenga se la situazione fra Atene e Ankara dovesse precipitare, o comunque dopo le elezioni Usa di novembre (chiunque vinca). Ma al momento non si può fare affidamento sul Deus ex machina d’oltreoceano. Questo pone una grossa responsabilità sugli europei, Regno Unito incluso, che non può essere assolta semplicemente prendendo le parti di un contendente come sta facendo la Francia con la Grecia e contro la Turchia. Occorre una capacità di mediare.

E l’Italia? Come spesso accade si trova in mezzo al guado, con interessi contrastanti: in conflitto con le rivendicazioni turche sul Mediterraneo orientale, ma in sostanziale allineamento in Libia, dove abbiamo tirato un respiro di sollievo quando l’intervento turco ha salvato al Sarraj e rotto l’assedio di Tripoli che vedeva la “location” nostra ambasciata in prima linea sotto i bombardamenti di Haftar. Questo il motivo per cui la mediazione con Ankara (e non la rottura Ue-Turchia) è anche nostro interesse nazionale.

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