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Il 2024 verrà certamente ricordato come l’anno del grande debito per il Dragone, alla perenne ricerca di una crescita che non sembra arrivare mai (nel terzo trimestre il Pil è aumentato del 4,6%, al di sotto delle attese dello stesso governo). Tutto questo a fronte di sforzi immani, come l’emissione di 2.300 miliardi di yuan (circa 325 miliardi di dollari), sotto forma di bond sovrani. 
Un vero e proprio whatever it takes in salsa cinese, che però fino a questo momento non ha scaldato più di tanto i mercati, nonostante le rassicurazioni del ministro delle Finanze di Pechino, Lan Foan, per il quale l’obiettivo del governo era ed è rassicurare i mercati finanziari e i partner internazionali dopo i segnali contrastanti giunti delle ultime settimane, che prima hanno entusiasmato le Borse, poi le hanno affossate, in particolare quelle locali e i settori mondiali più esposti alla domanda della Cina (lusso, auto, industriali, per citare i principali).

Lan ha spiegato che il governo, dopo le misure già annunciate dalla banca centrale (taglio dei tassi), è pronto ad aumentare significativamente il debito pur di rilanciare l’economia. Se il proposito è buono, la sostanza è più amara. Volendo sintetizzare tutte queste misure, quel che emerge è che da settembre in poi il governo cinese si è mosso in maniera significativa alzando le aspettative degli investitori, ma in realtà le misure adottate hanno finito per creare delusione perché inferiori a quanto atteso, poco chiare nella loro comunicazione e indirizzate diversamente rispetto a quanto necessario, o perlomeno ritenute parziali.

E comunque, tutto questo non toglie che Pechino e Xi Jinping sono seduti su una polveriera di debito, che prima a o poi il Dragone dovrà rimborsare, più gli interessi, al mercato. Se, infatti, appare pressoché scontata una buona risposta degli investitori ai bond sovrani, il problema rimane la restituzione del denaro a fronte di una scarsa crescita.

Debito poi, quello contratto con il mercato, che va a sommarsi a quello più corporate, che risponde al nome di mattone, con tutti i colossi dell’immobiliare finiti a un passo dal fallimento, quando non falliti del tutto. Eppure, il problema debito, sembra non voler essere affrontato dal partito e dal governo. Non che a Pechino non sia consci dei guai cinesi, anzi, forse lo sono fin troppo. Ma avallare la tesi che le finanze del Dragone non sono mai state così tanto esposte come in questi mesi sarebbe come ammettere che sì, un problema c’è e anche potenzialmente letale.

La prova è nell’ordine del giorno della prossima Comitato permanente del Congresso nazionale del popolo, che si riunirà dal 4 all’8 novembre. Nel quale figurano discussione sulle risorse minerarie, l’energia, le misure antiriciclaggio, le questioni marittime e altri settori. Ma non è stato fatto alcun accenno proprio alle misure segnalate dal ministro delle Finanze Foan. La riunione esaminerà anche il rapporto di lavoro finanziario del Consiglio di Stato, la gestione dei beni di proprietà statale e un rapporto speciale sugli impegni amministrativi dei beni di proprietà statale dell’anno scorso, ha affermato l’agenzia Xinhua. I vertici dell’organo legislativo delibereranno anche su questioni relative alle nomine e alle rimozioni dei funzionari. Ma del debito, nessuna traccia.

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