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A tre giorni dalle prime avvisaglie, le proteste continuano a dilagare in Georgia. Nella serata di sabato, per la terza giornata consecutiva, migliaia di persone sono scese in strada a Tbilisi erigendo barricate, rompendo finestre e facendo esplodere fuochi d’artificio davanti al Parlamento. I manifestanti hanno anche bruciato sui gradini del Parlamento un’effigie di Bidzina Ivanishvili, uomo più ricco del Paese e fondatore del partito al governo “Sogno Georgiano”, che rispecchia le posizioni filo-russe dello stesso Ivanishvili. “Il popolo georgiano sta cercando di proteggere la propria costituzione, di proteggere il proprio Paese e il proprio Stato, e sta cercando di dire al nostro governo che lo Stato di diritto significa tutto” è la dichiarazione rilasciata da una partecipante alle proteste a Reuters. Così come nelle ore precedenti, la polizia antisommossa ha cercato di sedare le manifestazioni, sparando cannoni ad acqua e gas lacrimogeni sulla folla. Numerosi anche gli arresti, con il Ministero degli Interni che riporta di aver arrestato più di cento individui soltanto nella serata di venerdì. I media georgiani hanno riportato altre proteste in città e paesi del Paese.

Le manifestazioni sono state di gran lunga le più grandi da quando “Sogno Georgiano” è stato rieletto il mese scorso in un voto che secondo le opposizioni e molti attori occidentali è stato segnato dalle irregolarità. L’ondata di proteste attualmente in corso è scoppiata in seguito all’annuncio da parte del primo ministro georgiano Irakli Kobakhidze della decisione di sospendere i colloqui di adesione con l’Unione Europea fino al 2028, decisione seguita ad uno scambio di accuse tra i vertici del Paese caucasico e quelli di Bruxelles.

Nella mattina di sabato il primo ministro del Paese caucasico si è scagliato contro l’opposizione filo-europeista, accusata di complottare una rivoluzione, sulla falsariga della protesta di Maidan in Ucraina del 2014, che ha spodestato un presidente filorusso. “Alcuni vogliono che si ripeta quello scenario in Georgia. Ma non ci sarà nessun Maidan in Georgia”, ha detto Kobakhidze. Contemporaneamente, il Servizio di Sicurezza dello Stato ha dichiarato che i partiti politici stavano tentando di “rovesciare il governo con la forza”.

Le proteste non arrivano però soltanto dalla società civile, ma anche dai gangli dell’apparato statale. Alcuni dei diplomatici più anziani del Paese si sono dimessi in segno di protesta per l’interruzione dei colloqui con l’Ue, mentre oltre duecento membri del corpo diplomatico in servizio hanno firmato una lettera aperta per condannare la posizione del governo. Anche centinaia di dipendenti dei ministeri georgiani della Difesa, della Giustizia e dell’Istruzione e della Banca centrale hanno firmato lettere aperte per condannare la decisione di congelare i colloqui di adesione con Bruxelles.

Queste dimostrazioni di dissenso aggravano la già forte crisi istituzionale del Paese, che trova la sua massima espressione nel contrasto tra la Presidente del Paese Salome Zourabichvili e glie sponenti di “Sogno Georgiano”. Il mandato di Zourabichvili come Presidente (carica fortemente rappresentativa, ma con poteri relativamente limitati) è destinato a scadere a dicembre, e un successore più vicino alle posizioni del governo (l’ex calciatore filo-russo e anti-occidentale Mikheil Kavelashvili) è già stato individuato. L’elezione formale del nuovo presidente è prevista per il prossimo 14 dicembre, ma Zourabichvili non sembra intenzionata ad abbandonare la sua posizione. “Non esiste un parlamento legittimo e, pertanto, un parlamento illegittimo non può eleggere un nuovo presidente. Pertanto, non si può procedere all’insediamento e il mio mandato continua fino alla formazione di un parlamento legittimamente eletto”, ha dichiarato la Presidente in carica.

Tra proteste di piazza e azioni dimostrative, in Georgia le tensioni rimangono alte

Mentre le proteste di piazza continuano a Tbilisi e altrove, anche parte dell’apparato statale e istituzionale prende posizione contro il governo. Stressando ulteriormente la discrasia esistente nel Paese caucasico

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