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“La Cina e la Russia hanno realizzato sistemi d’arma spaziali e hanno trasformato l’orbita terrestre in un possibile scenario operativo di guerra”. Così Stephen Kitay, vice segretario statunitense alla Difesa con delega alla politica spaziale, ha presentato pochino giorni la “US Defense Space Strategy”. Da anni il Pentagono ha avviato una significativa trasformazione concettuale e operativa del proprio programma spaziale di sicurezza nazionale, e la cosa dovrebbe essere oggetto di attenta analisi politica anche in Europa e nel nostro Parse, non tanto per una inconcludente avversione ideologica alla postura statunitense, quanto piuttosto per un’accorta valutazione dei concreti motivi geopolitici per cui essa va evolvendo con sempre maggiore velocità e decisione.

Il documento strategico (leggibile qui) riflette il mutato approccio del dipartimento della Difesa ai sistemi spaziali non solo come “moltiplicatori di forza” nella catena di C4ISR (Command, Control, Communications, Computing, Intelligence, Survelliance, Reconnaissance), ma anche come strumenti operativi nel dominio di guerra, ed è in linea con gli sforzi in corso per rafforzare l’integrazione tra due organizzazioni: lo UsSpaceCom (il Comando spaziale che è il più recente degli undici comandi unificati all’interno del DoD), e la Space Force, istituita nel 2019. I satelliti sono parte integrante della vita moderna negli Stati Uniti come nel resto del mondo e rappresentano una componente indispensabile di ogni armata militare con ambizioni globali. La loro tutela è quindi diventata per gli Usa fondamentale per mantenere quella superiorità militare, economica e industriale che si è affermata negli ultimi settant’anni. Nonostante la pubblica opinione consideri lo Spazio un dominio riservato agli scienziati e agli astronauti, novelli esploratori del terzo millennio, la realtà è ben diversa: l’orbita intorno alla Terra pullula di satelliti che spiano, che fotografano siti segreti, che trasmettono comunicazioni riservate e che aiutano la localizzazione dei mezzi militari ovunque nel mondo. Pur tuttavia, lo Spazio non è un santuario al riparo da attacchi siano essi informatici o fisici, e tutti i satelliti sono potenziali bersagli a vari livelli di conflitto, dallo jamming di disturbo nelle trasmissioni alla rimozione o distruzione fisica in orbita.

Per il Pentagono, Cina e Russia sono oltre lo stadio di minaccia strategica perché hanno realizzato con successo dei sistemi spaziali offensivi, ma soprattutto perché la loro dottrina militare li associa per l’impiego in conflitti che si estendono nel continuum Terra-Aria-Mare-Spazio e, non ultimo, il cyber-spazio. Pechino e Mosca, secondo il rapporto americano, avrebbero ciascuno con mezzi e obiettivi diversi “armato” lo Spazio riuscendo a disporre di strumenti tali da ridurre l’efficacia politica e militare degli Stati Uniti, e quella dei suoi alleati come a esempio la Nato. E qui è uno dei punti di una chiave di lettura di questo tipo di documenti strategici. Perché vengono pubblicati? In fondo la loro lettura non rivela, come prevedibile, elementi di particolare riservatezza, quanto piuttosto dichiarazioni generiche, condivisibili o meno, che contengono ampi margini di generalità da risultare quasi superficiali a un lettore non molto attento. In realtà, si tratta di documenti che si rivolgono al mondo esterno, a quello degli avversari e degli alleati. Con la divulgazioni di questo tipo di documenti, l’autorità politica e militare statunitense delinea un contesto strategico di sicurezza nazionale che si proietta nei prossimi anni e che verosimilmente non verrà cambiato neanche con un avvicendamento alla Casa Bianca, in quanto una sua sostanziale modifica dovrebbe vedere il materializzarsi di un cambiamento geopolitico che muti sensibilmente le condizioni di sicurezza e di predominio statunitense.

Eppure, spesso, nei concetti strategici, entrano anche alcuni messaggi subliminali (talora neanche tanto tali) per alleati e avversari. L’idea centrale della Strategia di Difesa spaziale è quella di raggiungere il dominio dello “Space-Power” entro i prossimi 10 anni e garantire così la piena superiorità e tutela degli interessi vitali della Nazione. Nel 2017, la Union of Concerned Scientists fondata negli anni Settanta presso il Massachusetts Institute of Technology e che oggi conta una comunità online di 400.000 scienziati e accademici che elaborano analisi statistiche generali, pubblicò una lista dettagliata dei satelliti operativi in orbita, da cui si evinceva che su un totale di 1.738 satelliti attivi, il 46% erano americani mentre solo il 20%, cinesi e russi, ma il dato rilevante era che solo quelli del Pentagono, più di 300, eguagliavano numericamente il totale di tutti i satelliti di Mosca e Pechino messi insieme. Essendo difficile per queste nazioni colmare a breve questo gap spaziale, è stato ovvio che si siano concentrate a realizzare programmi strategici in grado di far avanzare il loro livello tecnologico offensivo più che compensare quello numerico. La flotta spaziale americana è talmente superiore a quella delle altre nazioni che quest’ultime dovrebbero triplicare in un decennio il loro tasso annuale di lanci per colmare il gap attuale. E considerando che il Pentagono pianifica di lanciare in orbita più di 50 nuovi satelliti ogni anno, come si concretizza ulteriormente un sempre maggiore impegno per un inarrivabile vantaggio militare nello Spazio?

Secondo il Dipartimento della Difesa occorre seguire alcune linee di azione, in primis con lo sfruttamento dell’innovazione tecnologica e commerciale – anche privata – e poi con lo sviluppo di nuove dottrine, competenze e culture di potenza spaziale militare. L’attuazione della prima linea di azione è già in atto. Un esempio è la SpaceX che non è diventata solo il nuovo “carrier” privato per gli astronauti della Nasa, ma anche un fornitore a pieno titolo del Pentagono con i suoi razzi Falcon e in futuro anche con la sua mega costellazione satellitare Starlink da migliaia di satelliti Leo (bassa orbita terrestre) a cui i militari americani guardano con grande interesse per le sue capacità di resilienza (avere a che fare con oltre 12mila satelliti in orbita potrebbe essere troppo anche per i sistemi di offesa spaziale di Mosca o Pechino). La seconda linea di azione rappresenta invece un cambio di paradigma culturale che vedrà le operazioni nello Spazio come le attività che oggi quotidianamente si svolgono per esempio negli oceani o nella bassa atmosfera. In questi dominii viaggiano contemporaneamente mezzi civili che trasportano milioni di persone per lavoro o turismo e mezzi militari armati, per esempio di testate nucleari, che si confrontano tra loro. Forse oggi sembra difficile immaginare uno scenario del genere, per esempio nelle orbite geostazionarie o persino in quelle cislunari, mentre in realtà potrebbe non essere fantascienza, quanto una sfida appena oltre il nostro attuale orizzonte visivo. Nella strategia statunitense c’è poi un’ulteriore linea di azione che è quella che maggiormente dovrebbe farci drizzare le antenne, perché gli Usa intendono integrare i loro sforzi per le future Star Wars non solo con partners industriali, ma anche con alleati. E se questa prospettiva bellica non ci piace, bisogna sempre tenere a mente il motto latino “si vis pacem para bellum” la cui origine concettuale in realtà risale alle “Leggi” di Platone, la più lunga opera del filosofo, rimasta incompiuta e pubblicata postuma.

In quest’ottica, un’ottima notizia è quella, molto poco pubblicizzata, secondo cui il governo italiano, dopo molteplici stimoli da parte del ministero della Difesa, ha costituito il Comando operativo spaziale, posto alle dirette dipendenze del capo di Stato Maggiore con l’obiettivo di definire la strategia spaziale di difesa, di organizzarne le funzioni e porre le basi per la creazione di una struttura militare più articolata, il Comando interforze operazioni spaziali. L’Italia è all’avanguardia nell’industria spaziale e per mantenere questo status, senza ricorrere a potenze straniere, deve non solo investire ma scegliere dove farlo. La cooperazione con l’Agenzia spaziale europea (Esa) è storica e consolidata, ma il mondo evolve e oggi la Nato rappresenta una di quelle partnership cui fa riferimento la US Space Defense Strategy. La cooperazione in ambito Nato/Ue risulta quindi molto importante per il nostro Paese, per ottimizzare le risorse e focalizzare gli sviluppi, ma soprattutto per proteggere l’Italia dal tentativo cinese di supportare e sostenere lo sviluppo di infrastrutture, per ora solo terrestri, che in un futuro non molto lontano potrebbero essere anche spaziali.

Ecco la strategia Usa per le Guerre stellari. Scrive Spagnulo

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