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“Le decisioni prese ad Ankara e Mosca hanno determinato la traiettoria della crisi libica più di quanto non abbiano fatto le scelte di altri attori come gli Emirati Arabi Uniti, la Francia o l’Italia”, scrive Lorenzo Marinone in un’analisi per il CeSI dal titolo esplicito: “Le nuove regole del conflitto in Libia”. Il capovolgimento avvenuto nelle ultime settimane segna un passaggio importante: non è solo la fine della fallimentare offensiva lanciata quattordici mesi fa dal signore della guerra dell’Est, Khalifa Haftar, per conquistare Tripoli, ma è un momento cruciale per la stabilizzazione del Paese.

Su quale morfologia prenda questa stabilizzazione non si può ancora scommettere. “Russia e Turchia hanno saputo ritagliarsi un ruolo decisivo”, scrive Marinone: e in effetti i due paesi, impegnati il primo sul lato della Cirenaica e l’altro su quello della Tripolitania, sono gli unici due attori esterni che hanno spinto il coinvolgimento fino a configurarsi materialmente dietro ai fronti sponsorizzati. Più apertamente i turchi, con l’accordo di novembre 2019 Ankara-Tripoli; a plausibile deniability via via più sfumata i russi, dopo l’invio di caccia partiti dalla Siria e atterrati alla base haftariana di al Jufra.

La Turchia ha dimostrato di essere il game-changer: l’impiego di droni e consiglieri militari, e di molto-meno potabili miliziani siriani, ha permesso alle forze della Tripolitania di scacciare Haftar dalle postazioni conquistate nella regione occidentale. Contemporaneamente all’avanzata delle truppe del governo onusiano Gna, spinta dalla Turchia, la Russia ritirava i propri uomini: i contractor della Wagner (con un’operazione vistosa al contrario del loro dispiegamento, fa notare Marinone) venivano spostati dal fronte.

Mosca dava dimostrazione di essere altrettanto indispensabile. Usciva il messaggio che i russi avevano nettamente più presa sia sul capo miliziano (e sulla Cirenaica) di quanto non ne avessero gli altri sponsor del Golfo (Emirati Arabi su tutti) ed Egitto. Dimostrazione di forza e indispensabilità.

Russia e Turchia, tuttavia, “non sono sovrani assoluti, ma piuttosto azionisti di maggioranza”, spiega Marinone. Egitto ed Emirati Arabi, ma anche la Francia, il Qatar, e vari stati europei tra cui l’Italia, sono player di primo livello nel futuro del paese. Ma tutti gli altri hanno quote di ripartizione e potenziale di movimento minore. Almeno attualmente.

Il punto, secondo l’analisi del CeSI, è che “tutti gli altri attori esterni vengono ulteriormente marginalizzati nella crisi libica sia nel caso in cui Turchia e Russia riescano a collaborare e coordinare le prossime mosse, sia se ciò non avvenisse”. “Ankara e Mosca hanno guadagnato un potere di sabotaggio notevole verso qualsiasi iniziativa politica e diplomatica che non rispecchi i loro desiderata“, aggiunge, sebbene chiaramente tutto questo comporta un aumento di pressione e di responsabilità.

Perché la Libia è una partita a due tra Turchia e Russia. L'analisi del CeSI

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