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Ci sono le mascherine sul volto, i cartelli tra le mani e poi, a rendere il dissenso ancora più scenografico, c’è il tintinnio dei mazzi di chiavi dei negozi e la distesa di sedie vuote proprio come i bar e i ristoranti in questi mesi. Cambia l’ambientazione ma il copione è sempre lo stesso: da Alessandria a Lipari, da Milano a Cosenza, le piazze italiane sono in ebollizione.

Proteste finora composte e dignitose ma il rischio che il vento di indignazione si tramuti in tempesta esiste. Un pericolo che si materializza in tutta la sua forza in una rilevazione di Swg sui sentimenti che attraversano il nostro Paese.

E così, nell’ultima settimana assistiamo a un declino delle principali emozioni che hanno dominato la lunga fase di lockdown. Tutte in calo, eccetto una: la rabbia.

La collera (17% a metà marzo) raggiunge oggi quota 23%, un livello ancora contenuto ma il trend in crescita denota un malessere popolare che potrebbe esplodere. Ne è perfettamente consapevole la ministra dell’Interno Lamorgese che ammonisce: “Dobbiamo evitare che il senso di responsabilità dimostrato finora si trasformi in rabbia”.

Due in particolare sembrano essere i generatori di risentimento.

Innanzitutto c’è la lentezza dell’amministrazione pubblica, un atavico difetto italiano che più di tutti scatena l’ira dei cittadini. Fare presto, sbloccare, basta ritardi sono queste dunque le parole d’ordine della levata di scudi di commercianti e imprenditori. Una rivolta anti-burocratica di stampo “poujadista” (direbbero i politologi), che il Salvini meno sovranista e più liberale delle ultime settimane sta cercando di intercettare per uscire dalle sabbie mobili.

C’è poi il rischio di una rabbia ancora più profonda, quella che in questi giorni affiora nelle richieste di restrizioni territoriali mirate per proteggersi da potenziali “untori” , specialmente nelle mete turistiche. Un risentimento che rischia di dividere il Paese, di mettere il Sud contro il Nord e gli italiani gli uni contro gli altri.

Per il momento sono solo avvisaglie. Tuttavia, se le risposte tarderanno ad arrivare la rabbia degli italiani potrebbe trasformarsi in uno tsunami.

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Occhio alla rabbia (in aumento) degli italiani. Può diventare uno tsunami

Ci sono le mascherine sul volto, i cartelli tra le mani e poi, a rendere il dissenso ancora più scenografico, c’è il tintinnio dei mazzi di chiavi dei negozi e la distesa di sedie vuote proprio come i bar e i ristoranti in questi mesi. Cambia l’ambientazione ma il copione è sempre lo stesso: da Alessandria a Lipari, da Milano…

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