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“Anche questa mattina, svegliandomi come sempre verso le quattro, mi sono domandato come avremmo potuto festeggiare il Natale quest’anno tra così tante e insopportabili miserie, sopraffazioni. È una sofferenza incredibile. Ma proprio pensando ai nostro tormenti ho visto che proprio quest’anno il Natale è la perfetta rappresentazione della nostra condizione. Gesù è venuto al mondo così come siamo noi oggi, in una mangiatoia, nel freddo di una grotta”.

Sequestrato dall’Isis per cinque mesi nel 2015, padre Jacques Mourad è tra i pochi religiosi che può raccontare quell’esperienza, essendo prima sopravvissuto e poi rocambolescamente fuggito. Ora svolge il suo servizio dal Kurdistan iracheno, a Sulaymaniyah.
“Tutto quello che accade in questo nostro mondo, dall’Iraq al Libano, è terribile per la miseria in cui siamo precipitati tutti. I soldi sono carta per accendere il fuoco nel camino, non hanno alcun valore. I prezzi volano, le persone soffrono, senza servizi, senza lavoro, senza nulla. È proprio il messaggio più chiaro di questo Natale. Gesù è venuto in una mangiatoia per riconciliarci! La riconciliazione che Gesù ha portato al mondo riguardava i re magi e i pastori, attraversando confini e culture. È la riconciliazione il messaggio del Natale e la riconciliazione è l’unica acqua che può dissetare questo nostro Iraq, la nostra Siria, il nostro Libano e i territori vicini”.

Il monastero dove padre Jacques accoglie e cura profughi, sfollati, abbandonati, raccoglie testimonianze che attraversano le diverse ferite del suo Levante stremato. A partire dall’Iraq di oggi, scosso da mesi da una protesta non violenta e interconfessionale: la protesta di un popolo unito nel chiedere alla politica di cambiare metodo, facce, di sostituire all’arricchimento personale e ai progetti egemonici il servizio per tutti i cittadini. “È una protesta nel nome della cittadinanza e il patriarca Sako ha avuto la lungimiranza di chiedere che non ci siano celebrazioni festose, luminarie, per questo Natale. Mentre i giovani iracheni muoiono in piazza in modo oscuro, non avremmo potuto diversamente. La chiesa caldea è accanto a tutti gli iracheni che soffrono, soffre con loro le loro stesse sofferenze, celebra il Natale ma non può farlo in modo festoso. È un segno di lutto, di partecipazione”. Il cardinale Louis Sako, patriarca della Chiesa caldea, ha parlato di teologia della liberazione che si fa in piazza, un “luogo teologico” che avverte chiaramente è la vicinanza agli aneliti e alle sofferenze della piazza che rivendica cittadinanza e difesa del bene comune, non di interessi settari.

“I simboli del Natale celebrano Gesù, non chi li espone. In Siria la popolazione soffre di mancanza di cibo, quante famiglie non possono letteralmente nutrirsi. I grandi alberi di Natale illuminati nelle piazze che si vedono invece non sembrano celebrare il bambino nato nella mangiatoia”. Il riferimento sembra anche all’albero che nelle centralissima piazza degli Abbasidi, a Damasco, il regime chiaramente lo ha voluto per celebrare se stesso, la sua vittoria nel nome della miseria dei siriani, ridotti in questo rigido inverno senza la legna per scaldarsi.

“Celebrare il Natale è celebrare Gesù venuto per riconciliare i fratelli con i fratelli, i ricchi con i poveri, questa è la riconciliazione che Cristo ha portato per tutti”.

Negli occhi di padre Jacques Mourad questo Natale sembra il simbolo della realtà rimossa da troppi racconti che si fanno in queste ore della sua terra: tutto quello che è stato il Levante è oggi ridotto a una grotta sofferente. D’altronde non c’è nulla di smielato nel Natale. Non c’è consumismo, non ci sono tavole imbandite. Parlando con lui l’uomo che vive in quelle terre viene percepito come rappresentato da un bambino cullato in una mangiatoia, mentre si celebrano vittorie o “governi” che li dimenticano. I patriarchi siriani, come quelli libanesi (dove sta nascendo un governo che certo non riconcilia con le richieste di mesi di protesta di popolo), ne saranno al corrente?

Il Natale dall’Iraq al Libano è in una grotta, come fu per Gesù. Parla Jacques Mourad

“Anche questa mattina, svegliandomi come sempre verso le quattro, mi sono domandato come avremmo potuto festeggiare il Natale quest’anno tra così tante e insopportabili miserie, sopraffazioni. È una sofferenza incredibile. Ma proprio pensando ai nostro tormenti ho visto che proprio quest’anno il Natale è la perfetta rappresentazione della nostra condizione. Gesù è venuto al mondo così come siamo noi oggi, in…

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