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Per il finanziere e scrittore nel futuro del mondo post coronavirus ci sono due scenari. Uno buono, che prevede investimenti in sanità e istruzione e una globalizzazione sicura “pagata” dal capitalismo. L’altra è una “autarchia distorta”, dove ognuno pensa a sé.

“È il tempo di Philip Wade”. Guido Maria Brera è un finanziere e manager, co fondatore del Gruppo Kairos, ma è anche scrittore. Suo il romanzo “I Diavoli” sul quale è basata una fiction in arrivo su Sky, storia quasi autobiografica di finanza e potere ai tempi dei crack finanziari. Ma quando gli chiediamo di spiegare lo spirito del tempo che verrà, sembra pensare al protagonista del suo ultimo lavoro, “La fine del tempo”, pubblicato da La nave di Teseo, casa editrice della quale è co-promotore. Wade è un professore del secolo scorso, figlio di una socialdemocrazia inglese che ancora credeva nell’intervento dello Stato. Come tutti oggi, ai tempi del coronavirus.

Brera, lei aveva parlato di una “Chernobyl della globalizzazione” quando ancora si pensava (o sperava) che l’epidemia da coronavirus fosse contenibile. Diagnosi confermata…

La catena di montaggio-mondo è finita e il sistema si è rivelato troppo fragile.

Quindi è il momento di capire come sarà il mondo post pandemia… 

Le vie di uscita sono due. O ne usciremo meglio oppure peggio di prima. Peggio se le logiche che ci hanno portato fino a qui permarranno. Non dovremmo tornare alla normalità di prima perché quella normalità era il problema. Basti pensare alle delocalizzazioni delle sedi fiscali e produttive senza pagare pegno, la fiducia sconfinata sulle pari opportunità figlia della caduta del muro di Berlino e la sfiducia nello Stato che poi ha portato ai tagli a sanità e istruzione.

Nello scenario migliore c’è anche un ritorno del ruolo dello stato? 

Un ruolo più forte dello Stato, investimenti in sanità, istruzione, ricerca. Dovremmo avere capito che ci sono alcuni momenti in cui la presenza dello Stato è essenziale e vitale e quindi non lo possiamo mortificare.

Se lo Stato e la politica riprendono lo scettro del potere, facile immaginare anche un ritorno delle frontiere...

Quello è lo scenario peggiore. Una forma di autarchia distorta dove ognuno si chiude in se stesso e l’Europa paga il prezzo peggiore. Terra di conquista delle altre potenze, divisa tra chi sta con la Russia, chi con la Cina o con l’America. Se l’Europa si mostra divisa, come sta facendo, si arriverà alla balcanizzazione ed è lo scenario peggiore. I virus non hanno confini e la pandemia influisce sugli equilibri geopolitici in modo irreversibile. Non dimentichiamo che sono 20mila anni che la storia è scritta dai virus.

Quindi la globalizzazione dovrebbe sopravvivere?

Con un costo. Se vogliamo tenere in piedi un mondo dove le merci e uomini corrono per terre per cieli e per mari va preso in considerazione un sistema di sanità quasi globale, altrimenti il prossimo virus potrà partire dall’Antartide o dall’Angola e arrivare in Cina o in America indisturbato. Il calcolo di probabilità di dice che ce ne sarà un altro e questa volta non dovrà spengere la catena di montaggio.

Cosa servirebbe?

Intanto sancire il fallimento totale dell’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) come struttura che non è stata in grado di proteggerci e fare dei presidi sanitari capillari in tutto il pianeta. Perché se il mondo è piatto e possiamo viaggiare da una parte all’altra, allora dobbiamo assicurare sicurezza a chi viaggia. Questo è un pegno che deve pagare il capitalismo globale. Ma non so se vorrà farlo.

È il fallimento dei grandi poteri finanziari, del tredicesimo piano e dei “Diavoli” del suo primo romanzo?

Attenzione. Il tredicesimo piano è un potere che entra in campo in assenza del potere politico. Non perché lo volesse. Non è un’accezione negativa. Nemmeno ora ai tempi del coronavirus. I mercati in generale sono stati i primi a chiedere il blocco totale per poi ripartire mentre i politici si sono mostrati più timidi perché avevano paura dell’elettorato. In questo caso la convenienza economica è coincisa con l’aspetto sanitario, la politica è arrivata dopo.

Quindi è tornato il tempo di Philip Wade, protagonista del suo ultimo romanzo La fine del Tempo, professore del secolo scorso che sembrava sconfitto dalla storia?

Wade è un po’ allievo di Caffè (Federico Caffè, economista keynesiano del quale lo stesso Brera è seguace), un po’ personaggio di Ken Loach, ha la formazione politica di tutti i grandi intellettuali che avevano vissuto le conquiste socialdemocratiche, poi sconfitti dalla sinistra alla Tony Blair che abbracciò il centro. Questa che stiamo vivendo è decisamente l’ora di Wade.

 

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