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Ieri la leadership iraniana ha provato sulla propria pelle l’effetto del principio di azione e reazione col popolo. Tantissimi cittadini, soprattutto giovani,  iraniani si sono radunati davanti alle due università di AmirKabir e di Sharifa, a Teheran, per protestare contro l’oscurantismo del potere che li governa, arrivando a chiedere che Ali Khamenei lasci il ruolo di Guida suprema della Repubblica islamica, perché lo ritengono responsabile ultimo dell’abbattimento di un aereo di linea ucraino che ha causato la morte di 176 persone. Quelle organizzata ieri non erano una manifestazioni autorizzate, ed essere presenti può risultare molto pericoloso in Iran — dove negli ultimi mesi sono stati ucciso circa 1500 cittadini per reprimere le proteste.

Il governo iraniano ieri ha ammesso le proprie responsabilità sull’accaduto: hanno provato a prendersela con Donald Trump (vedi quello che ha detto il ministro degli Esteri), ma al di là della narrazione propagandistica ciò che è emerso è che un’unità della difesa aerea dei Pasdaran ha sparato senza farsi troppi problemi e ha colpito un Boeing di linea appena decollato dall’aeroporto Imam Khomeini. “Ha avuto solo dieci secondi per pensare”, ha spiegato durante un’intervista per la tv iraniana il comandante delle Forze aeree dei Guardiani della Rivoluzione parlando del soldato responsabile della tragedia. “Pensava fosse un missile da crociera” (come si fa a sbagliare tra un missile ostile e un grande aereo passeggeri decollato a pochi chilometri di distanza dalla postazione radar armata che la colpito? Ndr). Poi il comandante ha raccontato di aver “desiderato di morire” quando è stato “sicuro” che l’aereo era stato abbattuto per errore dai suoi uomini.

Erano le prime ore dell’8 gennaio, quelle della vendetta: l’Iran era in alto livello di allerta militare perché aveva appena lanciato una salva di missili balistici contro due basi irachene che ospitano anche personale occidentale (tra cui americani). La teocrazia intendeva in quel modo rendere onore all’uccisione del numero due del regime, Qassem Soleimani — generale plenipotenziario dei Pasdaran, su cui la Guida riponeva speranze e affetto — eliminato  da un raid americano due settimane fa in Iraq. Teoricamente Khamenei voleva ricucire lo strappo col popolo vendicando l’uccisione da parte del Grande Satana americano di un personaggio attorno a cui era stata costruita negli anni un’aurea eroica ancor più che patriottica. Praticamente la popolazione ha sfruttato la tragedia del volo di linea abbattuto per dire alla leadership siete un disastro, lasciateci liberi, e proseguire sull’onda di proteste che si ripetono da due mesi e su cui i Pasdaran hanno provato a mettere il tappo con la repressione.

È molto possibile che uno degli elementi che ha rotto definitivamente il patto sociale tra popolo e governati sia stato il blocco totale di Internet imposto all’inizio delle proteste, a ottobre, come sostiene Germano Dottori, docente di studi strategici della Luiss di Roma. Internet è il distillato della libertà di espressione e spazio immenso di equità: elementi che mancano in Iran. E certamente i cittadini non hanno gradito che mentre a loro veniva messo il bavaglio digitale — per evitare che diffondessero immagini delle proteste, che avrebbero indebolito il regime, e delle repressioni, che il regime lo avrebbero messo nei guai — e bloccato le comunicazioni delle famiglie separate dalla diaspora, la Guida stessa, o l’iperattivo ministro degli Esteri, usassero regolarmente Twitter per raccontare la loro versione dei fatti al mondo.

Nel corso di queste settimane ci sono stati oltre mille morti ammazzati dall’intervento delle forze di sicurezza contro i manifestanti. Altre migliaia, ma è impossibile avere un numero chiaro, fermati, torturati, incarcerati da polizia e servizi segreti. Azioni del genere dovrebbero servire a spaventare i manifestanti e fiaccarne lo spirito, ma ciò nonostante ieri migliaia di giovani erano in strada a chiedere che il disastro aereo procurato dall’Iran venisse pagato con la testa della Guida. “Morte per i bugiardi” cantavano, e se si considera che fino a un’ora prima di ammettere le proprie responsabilità, anche sull’onda generale di una necessità di de-escalation, il governo iraniano si dichiarava innocente per l’accaduto — colpa di un guasto al motore (si sa che i Boeing hanno problemi, rinforzava la grancassa mediatica del regime) dicevano mentre con un bulldozer ripulivano la scena del crimine — allora è facile capire chi intendono con “i bugiardi”.

Ieri doveva essere un’iniziativa per commemorare le vittime, s’è trasformata in una marcia contro la leadership con altri slogan tipo “Soleimani assassino, e il suo capo (Khamenei, ndr) è un traditore”. E non è bastata la narrazione della Fars, agenzia stampa della teocrazia, che ha sottolineato che è stato Khamenei “a dare l’ordine” di dire la verità pubblicamente sull’incidente. “La voce del popolo iraniano è chiara. Ne hanno abbastanza delle bugie del regime, della corruzione, dell’inettitudine e della brutalità dei Guardiani della rivoluzione islamica sotto la cleptocrazia di Khameini. Stiamo con il popolo iraniano che merita un futuro migliore”, ha scritto il segretario di Stato statunitense, Mike Pompeo, ritwittando un filmato delle proteste di ieri.

 

 

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