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Il programma Replicator, voluto nel 2022 dal Pentagono, entra in una nuova fase, dedicata alle contromisure nei confronti dei droni commerciali di piccola taglia. Il segretario della Difesa Usa, Lloyd Austin, ha infatti incaricato la sua vice, Kathleen Hicks, di sviluppare un piano che porti allo sviluppo di nuove contromisure C-sUas (Counter small-unmanned aerial system). Se Replicator 1 puntava a introdurre l’utilizzo in massa di piccoli droni commerciali nelle Forze armate Usa, la fase 2 punta a dotarle di mezzi che permettano di difendersi da avversari che hanno avuto la stessa idea. In particolare, le soluzioni che verranno proposte dovranno concentrarsi sulla difesa di installazioni fisse, comprese le basi militari in patria e all’estero. “Sono certo che l’iniziativa Replicator integrerà e farà progredire l’importante lavoro sui C-sUAS già in corso nel Dipartimento della Difesa”, ha affermato Austin. “L’aspettativa è che Replicator 2 ci aiuti a superare le sfide che dobbiamo affrontare nelle aree della capacità produttiva, dell’innovazione tecnologica, delle autorità, delle politiche, dell’architettura del sistema aperto e dell’integrazione dei sistemi, e della struttura delle forze”. 

Misure e contromisure

Replicator 1 è risultato nell’acquisizione di due piattaforme, una aerea e una marittima, da parte della Difesa Usa, con l’obiettivo di arrivare a schierare migliaia di droni, con particolare attenzione per il teatro operativo dell’Indo-Pacifico. La nuova iniziativa prevede quindi di esplorare quali opzioni la Difesa Usa ha a disposizione per difendersi da un avversario che sia in grado di schierare questi sistemi in numero consistente. In questo caso il pensiero del Pentagono non corre solo a Russia e Cina, ma anche ad altri attori. Vista la recente proliferazione di questi sistemi, facilmente reperibili sul mercato, la Difesa Usa non esclude che azioni offensive mediante l’utilizzo di piccoli droni commerciali possano essere condotte anche da una vasta pletora di attori non convenzionali, dalle organizzazioni terroristiche ai privati. La preoccupazione maggiore riguarda le basi, è necessario infatti dotare le installazioni militari di dispositivi che riescano a rilevare l’avvicinamento di questi assetti e a neutralizzarli. Un drone commerciale (come quelli che vediamo fare riprese aeree a matrimoni ed eventi) è difficilmente rilevabile dai sistemi radar, i quali sono pensati per rilevare oggetti ben più grandi, come missili o aerei. Pertanto, il compito della vice segretaria Hicks sarà quello di sovrintendere non solo allo sviluppo e alla selezione di questi sistemi, ma anche di redigere un piano di acquisizione, produzione e schieramento che possa essere portato a termine entro 24 mesi dall’allocazione dei fondi. L’intera operazione risente infatti dell’approssimarsi della scadenza elettorale. Trattandosi di un programma dell’era Biden, non è detto che la prossima amministrazione (sia essa Trump o Harris) lo confermi e pertanto la direttiva, al momento, è quella di preparare tutte le scartoffie necessarie in caso di approvazione del progetto per l’anno fiscale 2026, dal momento che l’anno fiscale 2025 è già entrato in vigore. In ogni caso, anche la sola progressione degli studi di fattibilità concorrerà a innalzare la consapevolezza della Difesa Usa nel settore.

Un nuovo rumore sui campi di battaglia

Come per molti aspetti del warfighting convenzionale, anche in questo caso lo studio del conflitto russo-ucraino è stato cruciale per riconoscere i trend emergenti. I droni, aerei, terrestri e marittimi, hanno infatti rappresentato la vera novità sui campi di battaglia dell’Ucraina, presto replicata anche in altri scenari di conflitto. Oltre a fornire capacità spendibili e facilmente rimpiazzabili, i droni hanno aperto a nuovi impieghi operativi, che coprono tutti i livelli del conflitto. Se infatti l’avvento dei droni di media taglia, come i celebri Bayraktar TB2 o Shahed 136, ha in parte rivoluzionato l’approccio strategico e di teatro all’uso dei sistemi a pilotaggio remoto, il crescente utilizzo di droni di piccola taglia ha avuto impatti sensibili anche sul piano tattico. Che si tratti di mandarne uno in avanscoperta per finalità Isr (Intelligence, surveillance and reconnaissance) o di imbottirlo di esplosivo per dare la caccia ai singoli soldati nelle trincee o in fuga tra i campi, è innegabile che, sul campo di battaglia, al fragore delle esplosioni, al fischio dei missili e al crepitio degli spari si sia ora aggiunto anche il ronzio delle eliche degli sUaS. I campi di battaglia del futuro saranno sempre più dominati da questo ronzio che, specialmente se prendiamo in considerazione l’avvento delle operazioni multidominio, non contribuirà solo ad aumentare la cacofonia bellica, ma anche (e soprattutto) a riempire l’area operativa di occhi e orecchie meccanici, utili tanto a vedere il nemico, quanto ad essere visti da esso.

Il programma Replicator entra nella fase 2. Così gli Usa sviluppano il killer di droni

Mentre i campi di battaglia si riempiono sempre di più del ronzio delle elichette dei piccoli droni commerciali, gli Usa preparano il progetto per dotare le proprie Forze armate di strumenti per neutralizzare questa piccola (ma grande) minaccia. Se Replicator 1 puntava a dotare i militari usa di migliaia di piccoli droni, Replicator 2 dovrà aiutarli a difendersene

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