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Il ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli, ha gettato la spugna ed in un’intervista ad un quotidiano romano ha dato sei mesi al nuovo commissario di Alitalia per mettere la compagnia in condizione di trovare acquirenti; altrimenti – ha detto – si chiude.

L’intervista ha avuto sulla stampa un’eco inferiore delle notizie (più fosche che liete) che in passato riguardavano il futuro della “compagnia di bandiera”. È un indicatore eloquente: il tormentone che da vent’anni circa riguarda Alitalia non fa più notizia poiché i lettori si sono stancati di un’azienda che da lustri si cerca di vendere a chi la sappia gestire in modo efficiente ed efficace (e soprattutto di portare utili non perdite che, secondo il ministro, raggiungono due milione di euro al giorno) e non trova acquirenti. Ormai, per i voli interni, gli italiani preferiscono Easyjet e Ryanair e per il lungo raggio vanno su linee straniere come Delta, Lufthansa, Air France.

Resta un brand mitico: ricordo i primi voli nei Boeing 747 di gran lusso (allora lavoravo per la Banca mondiale e il lungo raggio era in prima classe). Ma erano brand mitici anche Pan Am, Twa, Sabena, Swiss Air, e tanti che non hanno resistito alla profonde trasformazioni del trasporto aereo di questi ultimi lustri. Agli utenti non interessa più volare sulla “compagnia di bandiera”, ma di volare con efficienza ed efficacia. Io stesso, alla metà degli Anni Settanta, abbandonai il Roma-New York Alitalia che mi costringeva a cambiare aeroporto e compagnia per giungere a Washington, la mia destinazione, quando entrò in servizio il Twa 800 che con una sosta o a Boston o a Parigi mi portava, senza dover cambiare volo ed aeromobile, dove volevo, e dovevo, andare.

Mentre negli ultimi dieci anni, oltre 10 miliardi di euro dei contribuenti sono andati a puntellare Alitalia, il funzionamento della compagnia non è migliorato, come sottolineato dallo stesso Patuanelli; è difficile che le autorità europee autorizzino ulteriori “prestiti a fondo perduto” (ossia veri e propri aiuti di Stato) anche perché le altre compagnie stanno protestando.

Tuttavia il “Dies Irae”, associato ad un funerale di terza classe, per Alitalia si può evitare con un po’ di ragionevolezza da parte di tutti. In primo luogo, è impossibile, non difficile, trovare un compratore che acquisti una compagnia con perdite così elevate. È anche impossibile, trovare chi investa somme sostanziali, pure di minoranza, in una società che sarebbe fallita anni orsono senza forti iniezioni dei risparmi dei contribuenti. Partendo da queste amare verità, si possono ritagliare i rami aziendali appetibili, soprattutto il lungo raggio.

Non si tratta del tanto deprecato “spezzatino” ma unicamente di buon senso. La necessità di ritagliare i rami appetibili è tanto più necessaria in quanto il comportamento del nostro sistema politico sugli impianti siderurgici ex-Ilva di Taranto consigliano potenziali investitori italiani e stranieri alla massima cautela. Senza dubbio, la vendita dei rami appetibili, lasciando gli altri a carico della collettività in attesa di liquidazione, crea problemi occupazionali.

In uno scritto recente, un economista acuto come Carlo Scarpa (che segue da anni Alitalia e le sue traversie) ha ricordato che vent’anni fa la compagnia impiegava circa 23 mila persone, oggi meno della metà; di piloti e tecnici di volo ne impiegava circa 2.500, oggi forse un po’ più di metà. Il problema occupazionale non si pone per piloti e tecnici di volo, tutti nei rami appetibili, ma per quella parte del personale di terra non addetto a comparti (ad esempio, handling) che possono trovare acquirenti. È una situazione indubbiamente grave in un’Italia dove, anche a ragione di politiche e strategia sbagliate, il tasso di disoccupazione sfiora il 10% rispetto ad una media dell’eurozona del 7,4%. Difficile capire perché negli ultimi anni, nonostante la difficile situazione finanziaria ed industriale, Alitalia abbia continuato a fare selezioni ed assumere.

Tuttavia, l’alternativa al ritaglio ed alla vendita delle parti migliori è, senza dubbio, molto più fosca: sia arriverebbe alla messa a terra della flotta per mancanza di liquidità ed allora chi vuole i bocconi più succulenti li avrebbe a prezzo di saldo. Un vero “Dies Irae”.

Il Dies irae per Alitalia si può evitare. Pennisi spiega come

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