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La sentenza di primo grado che condanna Marine Le Pen a quattro anni di reclusione (pena sospesa), a una considerevole sanzione pecuniaria (100.000 €) e, soprattutto, le impedisce di candidarsi alle presidenziali del 2027 mi lascia molto perplesso.

Cerco di spiegarmi: qui non si tratta di negare l’importanza del rispetto della legge, sopra la quale nessuno può collocarsi e che deve essere innanzitutto rispettata da chi ricopre ruoli istituzionali.

Qui si tratta di tenere in considerazione due aspetti molto precisi che questa vicenda chiama in causa in modo esplicito.

Il primo attiene al merito della vicenda, che è così riassumibile: la sentenza condanna la leader del Rassemblement National, altri otto parlamentari europei e dodici loro assistenti perché hanno ottenuto fondi europei con i quali avrebbero dovuto pagare il lavoro di quegli assistenti, facendoli invece lavorare in Francia per attività di partito, stravolgendo così lo scopo originale del contributo economico.

Qui io voglio dire una e una sola cosa: nella mia ormai non breve esperienza a cavallo tra le istituzioni, la politica e il giornalismo posso testimoniare serenamente che tutti gli assistenti parlamentari, retribuiti dai Parlamenti nazionali o da quello europeo, si occupano anche delle vicende politiche dei loro assistiti, per il semplice fatto che attività istituzionale e vita politica per un eletto sono impossibili da separare.

Quindi mi sento di dire che la condanna andrebbe estesa a più o meno tutti quelli che sono stati eletti dal 1979 a oggi, anno delle prime elezioni dirette al Parlamento Europeo.

C’è poi un secondo aspetto che riguarda la decisione, del tutto discrezionale, del giudice francese di rendere immediatamente applicabile la pena accessoria del divieto a candidarsi, decisione che investe le elezioni presidenziali del 2027.

Qui le conseguenze sono del tutto politiche, poiché Le Pen gode di vasti consensi in Francia, anche se va detto che in tutte le sue esperienze precedenti da candidato alle presidenziali ha finito per perdere.

La mia opinione quindi è così sintetizzabile: c’è molta politica nella decisione del giudice francese di non attendere il processo di appello per la pena accessoria dell’esclusione dalla candidatura. Avrebbe tranquillamente potuto evitare questo aggravio di sanzione, lasciandolo alla determinazione dell’ultimo giudice (in caso di condanna).

Infine c’è da valutare l’effetto sulla destra francese. Qui io penso che gli effetti saranno meno clamorosi di quel che si potrebbe immaginare. Le Pen ha perso tutte le elezioni presidenziali alle quali ha partecipato, cioè ben tre (coma abbiamo già ricordato).

Ho la sensazione che le figure emergenti della destra francese, Bardella in testa, sotto sotto gradiscono questa sentenza.

 

 

Sotto sotto qualcuno nella destra francese gradisce la condanna di Le Pen (che mi lascia perplesso)

C’è molta politica nella decisione del giudice francese di non attendere il processo di appello per la pena accessoria dell’esclusione dalla candidatura. Avrebbe tranquillamente potuto evitare questo aggravio di sanzione, lasciandolo alla determinazione dell’ultimo giudice (in caso di condanna). Il commento di Roberto Arditti

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