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Ad accompagnare il presidente iraniano, Masoud Pezeshkian, all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ci sono l’ex ministro degli Esteri Javad Zarif, il suo ex vice ora diventato ministro, Abbas Araghchi, e l’altro esperto diplomatico Majid Ravanchi (responsabile adesso della pianificazione politica degli Esteri). Ossia, Pezeshkian ha portato con sé tre figure note per le capacità negoziali, grandi esperti di dialogo internazionale, capaci di portare l’Iran (e il Consigli di Sicurezza dell’Onu) alla firma dell’accordo sul nucleare Jcpoa. E dunque, il presidente della Repubblica islamica che nel corso di questi mesi è probabilmente stata macchinatrice e dante causa della risposta destabilizzante alla guerra israeliana nella Striscia di Gaza — attivando le milizie del cosiddetto “Asse della Resistenza” — ha deciso di mostrare il volto buono di Teheran al mondo?

“Il messaggio suggerito dall’entourage diplomatico iraniano è che l’Ira sta cercando di posizionarsi al meglio per rinnovare la diplomazia con l’Occidente quando l’altra parte sarà pronta”, nota Luara Rozen, esperta del contesto iraniano basata a Washington, con ottime informazioni da tutti lati in discussione. È chiaro che a meno di due mesi da Usa2024 sembra improbabile che l’amministrazione Biden possa cercare di perseguire negoziati diretti con la nuova squadra iraniana. Ma intanto Pezeshkian — è più di lui l’entourage diplomatico — potrebbe avere la possibilità di parlare con contatti esperti e forse alcuni ex funzionari per aggiornarsi a vicenda su come stanno pensando e aiutare a gettare le basi per colloqui futuri quando un nuovo presidente degli Stati Uniti entra in carica, osserva Rozen.

C’è un’affermazione del discorso onusiano del presidente iraniano che fa presupporre questa volontà di apertura: “Rispetto al Jcpoa, abbiamo detto 100 volte che siamo disposti a essere all’altezza dei nostri accordi”, ha detto. “Speriamo di poterci sedere al tavolo e tenere discussioni” per contribuire a rafforzare la “pace e la sicurezza” nel mondo. Il Jcpoa è il dossier centrale: se Teheran si dovesse dimostrare in grado di tornare indietro, rispettando di nuovo (a fronti di nuove garanzie) i dettami dell’intesa siglata nel 2015 — e affossata definitivamente dall’uscita unilaterale decisa da Donald Trump nel 2018 — Teheran potrebbe iniziare un percorso di riqualificazione internazionale. E si scrive “iniziare” perché sull’Iran non pesa solo la spinta data all’arricchimento di materiale atomico (che per gli iraniani è conseguenza controllabile in rappresaglia all’uscita trumpiana). Su Teheran pesa anche parte della destabilizzazione in Medio Oriente.

Hamas, che con l’attacco del 7 ottobre scorso ha aperto la guerra, è collegata ai Pasdaran; gli Houthi, che hanno destabilizzato il corridoio indo-mediterraneo usando le loro armi Made in Iran contro le navi che connettono Europa e Asia, sono collegati ai Pasdaran; Hezbollah, che da circa un anno martella Israele, è collegata ai Pasdaran; i vari corpuscoli miliziani tra Iraq e Siria che partecipano alla guerra regionale contro lo Stato ebraico, sono collegati ai Pasdaran. Poi c’è il quadro d’ordine superiore, extra-regionale: l’Iran sembra sempre più un vettore di interesse (destabilizzante, non certo dialogante) di Cina e Russia, ormai incluso nelle manovre politico-militari, ibride e strategiche, del gruppo dei Paesi revisionisti, che sta mettendo in discussione quell’ordine internazionale rappresentato anche dal sistema delle Nazioni Unite.

Questa ambiguità dietro a Pezeshkian, riformatore pragmatico, pesa sulle attività globali iraniane. Anche perché, dopo New York al rientro a Teheran il presidente fa i conti con la realtà. Negli ultimi due giorni, lo scontro tra Israele e Hezbollah in Libano si è notevolmente intensificato. L’IDF (Forze di Difesa Israeliane) ha condotto una serie di attacchi aerei su centinaia di obiettivi della milizia filo-iraniana in risposta a un’escalation di lanci di razzi e droni da parte del gruppo libanese verso Israele. Oltre 450 persone (ma forse anche di più) sono state uccise e 1.600 ferite in Libano, rendendo quello di ieri il giorno più sanguinoso dal 2006 — periodo di guerra aperta. Hezbollah ha promesso ritorsioni per la morte di suoi membri, la distruzione di infrastrutture di comunicazione, gli attacchi incivili che continuano anche mentre si scrive questo articolo.

Questa situazione impone a Teheran di prendere una posizione. Ma durante la sua visita americana il presidente iraniano fa intravvedere una linea dual-use, chiara nell’intervista che ha concesso alla CNN. Hezbollah “non può affrontare da sola” Israele, dice, ma corre a precisare che Teheran non sta cercando di creare insicurezza o provocare conflitti. Anzi, aggiunge che il Libano non può diventare un’altra Gaza e chiama in causa l’assistenza della Comunità internazionale per fermare gli attacchi sui civili. Aggiunge che l’Iran non ha iniziato guerre negli ultimi 100 anni, ma ribadisce che non permetterà a nessun paese di minacciare la propria sicurezza e integrità territoriale, non tollererà alcuna imposizione esterna sulla sua sovranità.

Pezeshkian sa che la linea da tenere all’Onu deve far passare l’Iran quasi come un osservatore esterno al conflitto, che denuncia la condotta israeliana — incontrando in questo anche qualche consenso occidentale. Teheran è tutt’altro che esterna, ma gioca di plausible deniability — a questo servono i proxy, d’altronde — e cerca di sganciarsi dalle fasi più accese della guerra, perché per ora l’Iran valuta che uno scontro diretto, ampio e aperto con Israele sarebbe devastante. Qui incrocia la narrazione cinese e russa, che condannano le vittime civili prodotte dai bombardamenti israeliani in Libano. Ma questa dimensione globale di Pezeshkian potrebbe trovare una forte opposizione a Teheran. Tra le élite della Repubblica islamica c’è chi vorrebbe aprire il confronto armato, per interessi (legati all’ala militare-industriale dei Pasdaran) e per ideologia (i reazionari hanno spesso visioni meno pragmatiche e stanno influenzando anche nuove generazioni di ultra conservatori). Poi c’è il problema strategico: se Israele combatte (si parla anche di una possibile operazione di terra nei prossimi giorni) e sconfigge in qualche modo Hezbollah, la capacità di proiezione, influenza, deferenza regionale dell’Iran sarebbe notevolmente ridotta — con ricadute su tutto il sistema dell’Asse della Resistenza.

(Foto: X, @JZarif)

Pezeshkian mostra all’Onu il volto dialogante dell’Iran. Ma il caos in Libano richiama la realtà

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