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Non solo Medio Oriente. Anche nei Caraibi soffiano venti di conflitto armato. La Russia si starebbe preparando per uno scontro con gli Stati Uniti nella zona caraibica. In un’analisi pubblicata sul sito, la rivista Foreign Policy sostiene che Washington sta ripensando le proprie strategie, a seguito dell’appoggio fedele di Vladimir Putin al regime di Nicolás Maduro, la violazione ripetuta delle sanzioni petrolifere e lo spostamento delle truppe lungo le coste dei Caraibi.

Ad aiutare Maduro a smaltire il petrolio prodotto dalla statale petrolifera Petróleos de Venezuela (Pdvsa) sarebbe la compagnia russa Rosneft, che ha accettato il greggio venezuelano come una forma di rimborso dei prestiti accumulati. “In questo modo, il presidente russo Vladimir Putin ha un ruolo da protagonista nel mantenere a galla il dittatore venezuelano Nicolás Maduro. Finché lo farà, l’attuale politica delle sanzioni statunitensi farà ben poco per forzare un cambiamento in Venezuela, motivo per cui Washington ha bisogno di ripensare la sua strategia per lo spostamento del leader venezuelano. E presto”, si legge su Foreing Policy.

La rivista americana dedicata alle relazioni internazionali indica come Rosneft ha rapidamente superato tutte le altre società ed è diventato il principale operatore di petrolio del Venezuela: “La società ha gestito il 40% delle esportazioni di petrolio di Pdvsa a luglio, mentre ad agosto gestiva il 66%. Di recente, Pdvsa ha persino aperto un ufficio a Mosca per facilitare i pagamenti al suo cliente russo, il che ha contribuito a ridurre il debito residuo nei confronti di Rosneft a 1,1 miliardi di dollari. A questo ritmo, i prestiti potrebbero essere rimborsati per intero entro la fine di quest’anno o all’inizio del 2020”. Pagato il debito, l’alleanza tra Putin e Maduro potrebbe essere compromessa.

Comunque, “per ora, supportare Maduro è una strategia a basso costo che consente a Putin di bruciare la sua immagine di difensore dei regimi combattuti ovunque –  scrive FP -. La presenza della Russia in Venezuela – la sua più significativa nell’emisfero occidentale dalla crisi dei missili cubani – continuerà a lungo dopo che la scusa di riscuotere i debiti del Venezuela ha fatto il suo corso”. La presenza russa sul territorio venezuelano sta aumentando, sia a livello militare che a livello finanziario.

Il consiglio? Applicare misure più creative. Come ad esempio emanare sanzioni secondarie nei confronti delle reti di navigazione che spostano il petrolio del Venezuela (incluso un previsto aumento delle spedizioni a Cuba), come ha già fatto il Dipartimento del Tesoro contro l’Iran: “L’annuncio di ExxonMobil, che vieterà l’uso di petroliere legate alle spedizioni petrolifere venezuelane nell’ultimo anno, colpisce circa 250 navi in tutto il mondo e fornisce un altro potente deterrente allo spostamento del greggio venezuelano”.

Foreign Policy non risparmia critiche sull’atteggiamento dell’Unione europea nei confronti della crisi venezuelana. Secondo l’analisi, le sanzioni contro il regime sono efficaci quando sono multilaterali, per cui lo sforzo americano dovrebbe essere condiviso dai Paesi europei: “L’Ue ha sanzionato solo 25 venezuelani oltre all’embargo sulle armi nei confronti del Venezuela. Ha escluso la possibilità di sanzioni più complete se Maduro chiudesse la porta a negoziati mediati con l’opposizione venezuelana. La recente dichiarazione di Maduro, che non si unirà ai colloqui a guida norvegese, dimostra i limiti della fantasia dell’Ue che stava arrivando al tavolo in buona fede. Per lo meno, l’amministrazione Trump dovrebbe fare pressione sul governo spagnolo affinché fermi il flusso di fondi illeciti che attraversano la sua banca centrale”.

A differenza dell’Europa, gran parte dei Paesi dell’America latina sono attivi per fermare gli orrori del governo di Maduro e hanno persino rispolverato e invocato il Trattato di Rio, un patto di sicurezza regionale in grado di costringere i Paesi vicini ad applicare sanzioni contro una reale minaccia per la sicurezza della regione. L’analisi di FP sottolinea che “negli ultimi anni, il regime di Maduro si è adattato agilmente alle sanzioni statunitensi, perché le sue attività criminali coprono il globo e coinvolgono una rete più ampia di attori in Russia, Hong Kong, Panama, Romania, Svizzera, Miami, Nicaragua ed El Salvador, per citarne solo alcuni. Ecco perché gli Stati Uniti devono vedere il regime di Maduro simile a una rete criminale, piuttosto che un’entità politica isolata, e prendere di mira tale rete di conseguenza”.

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