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L’Uruguay ha deciso: al ballottaggio gli elettori hanno scelto Luis Lacalle Pou come il nuovo presidente. Il candidato del conservatore Partito Nazionale ha vinto al secondo turno superando il rivale della sinistra Fronte Ampio, Daniel Martínez. Erano anni, dalla vittoria di Tabaré Vázquez  nel 2004, che la coalizione di partiti della sinistra guidava il Paese sudamericano. All’epoca era una tendenza: erano gli anni della rivoluzione bolivariana di Hugo Chávez in Venezuela, di Néstor Kirchner in Argentina, di Luiz Inácio Lula da Silva in Brasile, di Evo Morales in Bolivia e Daniel Ortega in Nicaragua. Erano gli inizi dell’ondata rossa in America latina. Di questi leader della sinistra, c’è chi resiste e c’è chi non c’è più.

L’ultimo a “cadere” è, infatti, Evo Morales. Dopo la denuncia di gravi irregolarità nell’ultimo processo elettorale per la sua conferma, il presidente boliviano è stato costretto alle dimissioni. Secondo un’analisi del sito Affari Internazionali, “la Bolivia e l’Uruguay rappresentavano le ultime roccaforti rosse nella regione, colorata quasi interamente dei colori socialisti e socialdemocratici dai primi anni Duemila e per circa quindici anni”.

La salita al potere di Mauricio Macri nel 2015 avrebbe segnato l’inizio della fine di quella tendenza a sinistra dei Paesi latinoamericani. “Piano piano, come in un effetto domino, tra risultati elettorali e vicende giudiziarie, sono stati spazzati via tutti i governi progressisti, dal Brasile di Dilma Roussef, fino a Cile e Paraguay – scrive Affari Internazionali -. Oggi che ha perso gli ultimi bastioni rimasti, la sinistra sudamericana torna a sorridere solo grazie alla vittoria di Alberto Fernández in Argentina”.

Tutto indicava il tramonto della sinistra populista dell’America latina (tranne per la dittatura di Nicolás Maduro in Venezuela e il perpetuarsi del regime castrista a Cuba, nonostante la presidenza di Miguel Díaz-Canel).

Ma in America latina le cose non sempre sono come sembrano. Il ritorno di Cristina Fernández de Kirchner come vicepresidente in Argentina e la riapparizione di Rafael Correa in Ecuador potrebbero cambiare le carte sul tavolo. C’è persino il tentativo di ricomporre l’Unasur, un’organizzazione che sembrava morta.

In un articolo intitolato “Il bolivarianismo cerca di recuperare il terreno perso in Sudamerica”, l’Abc sostiene che se l’arrivo di Macri al potere nel 2015 può essere considerato l’inizio della fine della rivoluzione bolivariana nella regione, la vittoria del kirchnerismo in Argentina potrebbe anticipare la sua rinascita.

Così, il ritorno di Kirchner potrebbe servire di ispirazione per l’ex presidente, Rafael Correa, per tornare al potere usando anche lui la porta della vicepresidenza, già che anche lui come la Kirchner non può candidarsi di nuovo.

“In Argentina, la cattiva gestione economica dell’ex presidente aveva costretto Macri ad una dura disciplina finanziaria che, con risultati lenti di recupero, non ha fatto altro che complicare ancora la vita dei cittadini – si legge su Abc -. Lo stesso potrebbe accadere con Correa”. L’ex presidente, residente in Belgio – e ricercato per alcune indagini di corruzione – è salito al 47% nei sondaggi, superando al presidente Lenin Moreno (37%) e avvicinandosi all’ex sindaco di Guayaquil, membro del Partito social cristiano e al movimento civico Madera de Guerrero, Jaime Nebot, leader dei sondaggi con il 51%.

Infine, con il ritorno del kirchnerismo e il contributo del presidente messicano Andrés Manuel López Obrador potrebbe riprendere forza l’organizzazione, aumentando ancora di più nei prossimi anni le profonde divisioni nella regione latinoamericana.

Destra o sinistra? America latina al bivio

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