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Le indagini sull’esplosione della petroliera Seajewel, battente bandiera maltese, al largo del porto di Savona si fanno sempre più intricate. Le autorità stanno infatti concentrando gli sforzi per verificare la reale provenienza del greggio trasportato, alla luce di dichiarazioni contrastanti e di indizi che potrebbero far emergere una rete di contrabbando internazionale e atti di sabotaggio.

Il fascicolo

Inizialmente, la procura di Genova aveva aperto un fascicolo con l’ipotesi di naufragio aggravato dal terrorismo. Le analisi del greggio – che, secondo il comandante, sarebbe di origine algerina – sono in corso per accertare se effettivamente sia così o se si tratti di una materia proveniente da altre regioni, in particolare dalla Russia. Un’eventuale conferma dell’origine russa configurerebbe una palese violazione dell’embargo imposto all’indomani dello scoppio del conflitto in Ucraina, con sanzioni penali che possono arrivare fino a sei anni di reclusione.

Le indagini sugli ordini

Parallelamente, le indagini si stanno estendendo anche sul tipo di ordigni esplosivi usati nell’attacco. I reperti raccolti – inclusi i frammenti di due ordigni piazzati lungo la chiglia della nave – sono stati inviati alla scientifica di Roma per determinare la loro composizione. I primi rilievi degli artificieri e dei sommozzatori del Comsubin hanno rivelato che la prima esplosione avrebbe fatto staccare il secondo ordigno, limitando così i danni strutturali alla nave, che ha riportato una falla nello scafo.

Le similitudine con la Grace Ferrum

Un ulteriore elemento di rilievo emerge dal collegamento con un altro attacco: quello alla petroliera Grace Ferrum, che aveva lasciato il porto di Ust-Luga, località russa del mar Baltico il 12 gennaio, ed è stata attaccata nelle acque della Libia a inizio febbraio. Anche su questa imbarcazione, infatti, sono state utilizzate bombe magnetiche posizionate sulla chiglia, dispositivo identico a quello riscontrato sulla Seajewel. La Grace Ferrum rappresenta un tassello in un quadro più ampio di “colpi” assestati contro navi presumibilmente legate alla cosiddetta flotta fantasma russa, impegnata nel contrabbando di greggio di Mosca in Europa.

La nave verso il Pireo

I tecnici e gli investigatori della Digos, coordinati dal procuratore capo Nicola Piacente e dalla pm Monica Abbatecola della Dda, stanno inoltre esaminando le immagini delle telecamere di sorveglianza per individuare tracce del commando ritenuto responsabile dell’attacco, avvenuto nella notte del 14 febbraio. Nel frattempo, la petroliera ha lasciato la Liguria per dirigersi al porto del Pireo, dove verrà riparata, mentre le autorità mantengono il massimo riserbo sull’inchiesta.

La lista nera ucraina

La vicenda si complica ulteriormente considerando che la Seajewel, operata dalla compagnia greca Thenamaris, era già finita nella blacklist delle autorità ucraine per sospetti traffici illeciti di greggio russo. Non solo le analisi chimiche sul petrolio potrebbero chiarire la sua origine, ma la ricostruzione della rotta, il controllo dei certificati di origine e la documentazione a bordo stanno fornendo elementi utili per delineare possibili responsabilità penali aggiuntive, tra cui il sabotaggio orchestrato da gruppi legati a filoni antiembargo.

Un filo rosso (e russo?) collega le navi colpite a Savona e in Libia

Le autorità indagano sull’esplosione della petroliera Seajewel al largo di Savona, concentrandosi sulla reale origine del greggio trasportato. Le analisi potrebbero rivelare se il greggio è di provenienza russa, configurando una violazione dell’embargo in vigore. Parallelamente, il recupero dei frammenti di ordigni rivela analogie con l’attacco alla Grace Ferrum

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