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Per quanto stravagante, illogico e (persino) innaturale possa apparire, è probabilmente vero che a Salvini conviene perdere le elezioni in Emilia-Romagna.

Cerco ora di spiegarmi, introducendo una constatazione (elementare) e tre brevi ragionamenti di prospettiva.

La constatazione è che comunque il leader della Lega (e con lui la coalizione che lo segue) è già pressoché certo di essere il trionfatore della prossima tornata regionale, per il semplice fatto che si voterà in due realtà molto diverse come Emilia Romagna e Calabria con la seconda che vede la sinistra spaccata in due fazioni assai difficilmente compatibili (pro o contro il governatore uscente, con la segreteria del Pd nazionale che da tempo ha già precisato che ci sarà un candidato nuovo) e il M5S orientato a non presentarsi: quindi una sorta di gol a porta vuota per il centro-destra (e comunque la situazione è molto grave  da quelle parti, come testimonia il fatto che a 70 giorni dal voto nessun ha ancora capito chi saranno i candidati).

Insomma Salvini parte da 0-2 del 2015 e quindi 1-1 è già un enorme passo avanti, con accessorio ulteriore incremento delle regioni passate da sinistra a destra in meno di due anni.

Poi però ci sono tre motivi più profondi, che attengono (il primo) agli equilibri politici ed istituzionali a due anni (scarsi) dal voto del 2018, il secondo alla dimensione internazionale ed il terzo agli spazi di potere della (e nella) Repubblica.

Andiamo con ordine dunque, cominciando dal “contesto” in cui si vota a gennaio, un contesto che rende evidente l’effetto “valanga” di una sconfitta di Bonaccini, effetto che porterebbe rapidamente alla fine del governo giallo-rosso (per volontà del Pd) e quasi certamente alla fine della legislatura. Siccome però è passata poche settimane fa la riduzione dei parlamentari (che deve essere completata con opportuna legge elettorale) rischieremmo di trovarci in una specie di “terra di nessuno”, con un equilibrio politico ormai saltato, un Parlamento privo di forza e rappresentanza e un assetto istituzionale tutt’altro che pronto per un nuovo voto (a meno di rieleggere un Parlamento da 945 membri, materializzando così una sostanziale beffa di esclusivo interesse del ceto politico nazionale, che farebbe carte false per recuperare quei 345 posti in Parlamento sfumati).

Il tutto affogato in giornate d’infuocate polemiche, perché Salvini (e con lui certamente Giorgia Meloni) avrebbero buon gioco nel prendere a cannonate tutti gli oppositori del “voto subito”.

Poi c’è la dimensione internazionale, nella quale il leader della Lega ha bisogno di almeno uno-due anni di lavoro. Ha bisogno cioè di annodare i fili di rapporti senza i quali governare il Paese Ue con il più alto debito pubblico è sostanzialmente impossibile, ha bisogno di capire chi vince le elezioni americane, ha bisogno di capire quali sono gli effetti del Russiagate di casa nostra anche nelle relazioni con Mosca (e più in generale con l’Est Europa, perché nessuno pensi a Putin come un soggetto privo d’influenza da quelle parti). La destra italiana ha scelto Le Pen negli ultimi anni: ebbene questa scelta (che non è quella della destra al governo in Polonia, Austria, Grecia o Ungheria, tanto per fare qualche esempio) rende quasi impossibile il dialogo con Parigi e Berlino (per non parlare di Francoforte, sede della Bce), condizione nella quale però tutto si può fare tranne che governare la terza economia del contenente.

Infine c’è un tema che attiene al sottile equilibrio che bilancia le divisioni dei poteri in democrazia, equilibrio che prevede (e incoraggia) l’esistenza di un vincitore per le competizioni politiche, ma sconsiglia a chiunque di stravincere (anche di questo parla Giorgetti in questi giorni, se lo si legge tra le righe).

Perché tutto ciò? È semplice, perché se qualcuno stravince gli equilibri saltano, con conseguente difficilmente governabili.

Salvini è stato molto abile in questi ultimi anni, anzi i numeri sono lì a dimostrare che è stato il più bravo.

Il suo percorso non può che condurlo a Palazzo Chigi, perché così (a un certo punto e con elevata probabilità) indicheranno gli italiani.

Per vincere la guerra però può servire anche perdere una battaglia (nello specifico quella dell’Emilia Romagna).

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