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“Buonanotte papà”. Con la frase di Ricky, figlio dell’astronauta Neil Armstrong le televisioni statunitensi proiettavano nel luglio 1969 una grande impresa tecnologica con cui uomini si avviavano sulla Luna e le famiglie statunitensi erano compartecipi dei risultati che vi sarebbero stati. Nella spontaneità con cui un bambino di undici anni rispose alle interviste dei giornalisti davanti casa, esattamente 50 anni fa, Ricky forse era stato il primo a svelare al mondo che quella missione avrebbe portato non un uomo sulla Luna, suo padre, ma l’umanità intera che intanto proseguiva la propria vita quotidiana in attesa di fantastiche scoperte. Un’immagine familiare coerente alla evoluzione mediatica con cui la vicenda portò gli eroi statunitensi che la compirono (Neil Armstrong, Buzz Aldrin e Michael Collins) con le loro famiglie in giro per il mondo negli anni a seguire per raccontare l’avventura. Lo sbarco sulla Luna ha sedimentato nell’immaginario collettivo occidentale due tendenze: l’idea che la superiorità statunitense potesse condurre il secolo successivo (allora questo era in dubbio visto il successo russo di Juri Gagarin quale primo uomo a volare nello spazio nel 1961) e un principio generico di umanità che traspariva anche nella sfida Usa-Urss.

L’importanza del “piccolo passo per l’uomo”, come affermò Neil Armstrong appena sceso sul satellite terrestre è ancora da scoprire completamente (in realtà ampie furono le discussioni per la mancanza dell’articolo indeterminativo “un” nella frase pronunciata dall’astronauta che mai si comprese se fosse intenzionale).

Oramai è chiaro quali possibilità si aprirono allora per eventuali stazioni orbitanti ed espansioni verso nuovi luoghi possibili ma soprattutto fu una fase di rinascita della scoperta nel mondo occidentale.

Le scoperte geografiche avevano avuto già nell’Impero Romano (soprattutto dal 27 a.C. in poi con Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto) la dimostrazione che lo spazio vitale di un popolo potesse essere espanso senza limiti preconcetti. A seguire la storia tra il XV ed il XIX secolo aveva esposto la massima espansione con le forme di colonialismo decretando la supremazia strategica degli imperi marittimi (cosiddette talassocrazie). Fino a quel momento in realtà mai si era dimostrato che la dimensione extra-terrestre potesse essere la vera frontiera di espansione se non nell’immaginario di alcuni visionari quali Jules Verne che scrisse nel 1865 Dalla Terra alla Luna. Fino ad allora poco importava la fase di ritorno sulla terra nell’idea comune di conquista spaziale: un viaggio così fantastico si pensava che avrebbe proiettato sicuramente verso il meglio concentrandosi sulla sola andata, un’idea che sarebbe stata incompatibile alla struttura sociale e familiare degli Stati Uniti, così fortemente radicata nella Nazione.

Il 20 luglio 1969 invece l’aerospazio si è affermato quale dimensione strategica in grado di permettere non solo il superamento di spazi distanti per tornare comunque sulla Terra bensì per iniziare a progettare un altrove. L’enorme sfida ingegneristica: elezioni difficilissime per gli astronauti scelti; 3 moduli, uno di comando, uno di servizio ed uno lunare a due stadi per andata e rientro e sistemi a propulsione liquida che fino ad allora sembravano destinati ad essere le armi fatali e decisive per il futuro dell’uomo trasformava continuamente nuovi spazi di libertà. Con lo sbarco sulla Luna si ci spostava su dimensioni che fino ad allora nessuno aveva considerato così vantaggiose da poter essere indipendenti dalle altre e altresì la speranza era che la vera arma sarebbe stato il soft power legato alla simbologia dell’avvenimento tra i due concorrenti verso la Luna. La Luna indubbiamente avrebbe potuto rappresentare un luogo importante in cui valutare quale impatto sarebbe stato possibile nell’ambito delle telecomunicazioni ad esempio.

Ma la vera innovazione fu in effetti umana. Quale fosse l’impatto di lanciare non un robot (ne esistevano taluni che rispetto ai moderni sarebbero descritti come semplici macchine automatizzate) ma un uomo sul satellite terrestre aveva a che fare più con la speranza di risolvere i dubbi che decine di poeti avevano lasciato in sospeso nei secoli che con la tecnologia. Questioni umane che superavano lo scenario della Guerra Fredda allora in corso. Da Le mille e una notte in Medio Oriente fino al Canto notturno di un pastore errante dell’Asia di Leopardi tanti si erano interrogati sul vero ruolo di quel corpo celeste e sulle influenze a distanza. La missione dell’Apollo 11 non era certamente un dichiarato processo di pace, ad esempio il progetto segreto del 1958, rivelato alcuni anni fa e noto come Project A119 – A Study of Lunar Research Flights prevedeva di impiegare sul suolo lunare armamento atomico e fu presto abbandonato. La missione Apollo 11 finì per essere un processo di pace grazie a tre uomini e alle loro famiglie che dimostrarono che ciò che si esportava nello spazio extra-atmosferico, in cui sparivano i confini tra le nazioni e gli abitanti apparivano troppo insignificanti per decidere le sorti dell’universo, era una forma di umanità priva di intenti belligeranti. Il Trattato sullo Spazio Extra-Atmosferico del 27 gennaio 1967, entrato in vigore il 10 ottobre dello stesso anno, aveva stabilito il possibile utilizzo militare dello spazio evitando tuttavia di porvi ogni arma di distruzione di massa. Soprattutto si era trovato sulla Luna un luogo in cui la discussione roussoniana, accennata dall’autore a metà del 1700, sul ruolo dei confini connessi alla pretesa di proprietà privata e sovranità, fosse pacificamente possibile. Con quel trattato nello Spazio non avrebbero potuto esservi reclami su possedimenti territoriali dal momento in cui tre grandi Paesi della Politica Internazionale Spaziale: Usa, Uk e Urss ratificarono lo stesso.

Ma cosa resta cinquant’anni dopo di quella rincorsa verso la Luna? Gli interessi di allora sono decaduti? Oppure ne sono sorti altri?

Sicuramente lo scenario internazionale si è frammentato mentre lo spazio lunare è integro e ancora indivisibile. Il caso più eclatante del 2019 è stata la sonda cinese Chang’e-4 che ha allunato sulla faccia nascosta della Luna, comunicando attraverso il satellite Queqiao aiutando ad immaginare e progettare una possibile costellazione satellitare attorno alla Luna per le telecomunicazioni. Forse una nuova potenza aerospaziale ha avviato una nuova era e per la Cina la Luna rappresenta uno scoglio tecnologico e culturale da superare per poter essere annoverata tra i Paesi con una chiara politica spaziale. Indubbiamente tutti i Paesi più avanzati nell’ambito aerospaziale hanno deciso una propria politica spaziale e la Luna rappresenta per molti il primo passo verso un altro pianeta immaginato come il futuro più prossimo di una colonia umana extra-terrestre (Marte resta ancora il pianeta il più probabile). Il vantaggio di operare in un luogo in cui le altre nazioni non debbano rispondere della eventuale collaborazione con stati terzi rappresenta senza dubbio l’ultima frontiera del soft power. Se due Stati che sono in palese contrasto per interessi economici e militari sulla Terra collaborassero per progetti lunari non vi sarebbe probabilmente tra la popolazione di nessuno dei due forti ostilità. Se l’interesse di competere è forte, quello che in maniera nuova si riafferma è quello di cooperare. La cooperazione è una forma di interesse ed espressione della politica internazionale e ciò vale anche per la politica spaziale. Permettere che altre nazioni vivano l’emozione di superare lo spazio terrestre verso quel luogo storicamente e culturalmente così importante aggiunge alla sfida tecnologica il sentirsi parte di quell’unico “passo dell’uomo”. Lo Spazio lunare è l’altrove ove si possa costruire il trampolino per il lancio verso altri luoghi più distanti: una posizione strategicamente determinante per chi pianifica a lungo termine.

I nuovi interessi che si immaginano sulla Luna sono definibili secondo il dualismo di scoperta e proiezione. La scoperta immaginata di storie comuni tra i due pianeti, nuovi materiali e composizioni chimiche inaspettate. Altresì un luogo ancora sentito lontano dal quale si possa partire per proiettare lunghi viaggi verso nuovi orizzonti. Forse allora è nel sogno di ogni uomo raggiungere l’astro perché si possano finalmente ascoltare le risposte a quelle domande che da secoli restano sospese:

Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,

Silenziosa luna?

Sorgi la sera, e vai,

Contemplando i deserti; indi ti posi.

Forse in queste poche frasi c’è la vera motivazione per cui il passo del prossimo uomo sulla Luna porterà sempre con sé più umanità di quella divisa da confini, muri e dazi sulla Terra.

Nazzareno Tirino è cultore della materia di Diritto Pubblico presso l’Università di Pisa. Le sue ricerche vertono sul rapporto tra istituzioni pubbliche e strategie internazionali, sulla geopolitica e sule relazioni internazionali.

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Di Nazzareno Tirino

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