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Mentre il braccio di ferro tech tra Stati Uniti e Cina prosegue, Washington e Bruxelles hanno concordato di esaminare le minacce sulle vulnerabilità di sicurezza poste dalle reti 5G.

I TIMORI USA

Sul tema delle nuove reti si concentrano da tempo i timori dell’amministrazione americana, secondo la quale usare il 5G made in Cina potrebbe esporre a rischi di spionaggio e conseguentemente mettere a serio rischio il dialogo con gli Stati Uniti. Allarmi in questo senso sono stati lanciati ripetutamente da Robert Strayer il più alto funzionario cyber del Dipartimento di Stato americano, che in queste settimana ha ribadito quanto già detto (e ricordato) a più riprese nel tempo dal capo della diplomazia americana Mike Pompeo, da militari statunitensi come Curtis Scaparrotti e anche dall’ambasciatore Usa in Italia Lewis Eisenberg, ovvero che utilizzare la tecnologia tecnologia di Huawei (azienda da tempo al centro delle cronache) o dell’altro colosso cinese, Zte, quest’ultimo a controllo statale, potrebbe influenzare la capacità Usa di condividere informazioni di intelligence con i suoi alleati.

IL SUMMIT A PRAGA

All’inizio di maggio, una conferenza internazionale in scena a Praga provò a compiere quello che Strayer definì “un passo avanti nel coordinamento occidentale per la sicurezza del 5G”. Nell’occasione si riunirono 32 governi e più di 140 esperti, per confrontarsi non solo sui rischi connessi a questa tecnologia, ma anche su politiche normative per implementarla. Per questo, al termine del convegno, venne pubblicata anche una serie di linee guida consigliate da Washington. Misure che, disse il funzionario Usa, “se applicate a dovere, dovranno comportare inevitabilmente l’esclusione delle aziende soggette al controllo dello Stato cinese”, ritenute insicure per diverse ragioni, non ultima il fatto che “le leggi cinesi sull’intelligence costringono le società nazionali a cooperare con le agenzie e con lo Stato senza controlli giudiziari indipendenti”.

L’INCONTRO A WASHINGTON

Ora, con il recente incontro in settimana tra gli Stati Uniti e l’Ue (presieduto dallo stesso Strayer e dal numero uno di DGConnect, Roberto Viola) il dialogo tra Washington e Bruxelles – che non dato indicazioni specifiche sull’adozione del 5G, ma sta tentando di definire un complesso approccio condiviso tra gli Stati membri – ha tentato un ulteriore passo avanti.
In una nota diffusa al termine di questo nuovo summit sulla società dell’informazione Usa-Ue, il sedicesimo, Foggy Bottom ha spiegato che “entrambe le parti hanno concordato di informare l’altra sui recenti sviluppi delle rispettive politiche di sicurezza informatica”.

LA STRETTA AMERICANA

Il tutto, pochi giorni dopo le misure prese dalla Casa Bianca, volte proprio a colpire i colossi cinesi. Da un lato l’ordine esecutivo, firmato dal presidente Usa Donald Trump, che ha dichiarato una “emergenza nazionale” e che impedisce alle società statunitensi di utilizzare le apparecchiature di telecomunicazione fatte da aziende straniere che presentano un rischio per la sicurezza nazionale. Dall’altro l’inserimento, da parte del Dipartimento del Commercio, di Huawei e 70 sue affiliate alla propria cosiddetta ‘Entity List’, una decisione che vieta al gigante delle telecomunicazioni di acquistare parti e componenti da società statunitensi senza l’approvazione del governo degli Stati Uniti, che rilascerà un’autorizzazione, e che ha già portato aziende come Google a sospendere le operazioni commerciali con il colosso di Shenzhen, compreso il trasferimento di tutti i servizi hardware, software e tecnici, ad eccezione di quelli disponibili pubblicamente tramite licenze open source.

IL CAMBIAMENTO IN ATTO

Il 5G, spiegano gli esperti, comporterà un cambiamento davvero significativo rispetto a quello che si è visto con le reti 4G. In primo luogo consentirà la connessione a molti più dispositivi Iot. Tutto, dalla telemedicina alle reti di trasporto autonome, si appoggerà a questa rete. Questo perché la velocità supererà di oltre 100 volte quella attuale con una latenza molto bassa, fino a un millisecondo.

LO SCENARIO

Paesi come Australia e Giappone hanno subito dato seguito all’allarme americano, escludendo il colosso di Shenzhen dalla partecipazione alla costruzione dell’infrastruttura a supporto della rete 5G. Alcune nazioni stanno ancora cercando di elaborare il loro approccio nei confronti della telco, mentre altrettante – come Germania, Regno Unito e Francia – hanno deciso che non vieteranno espressamente a Huawei la possibilità di partecipare alle gare per la costruzione della rete 5G – ma hanno fatto sapere che predisporranno specifici e severi controlli.

LA POSIZIONE DELL’ITALIA

Quanto all’Italia, invece, per quanto riguarda il 5G (sul quale ha recentemente accesso i riflettori anche il Garante Privacy), Roma ha finora deciso di non escludere a priori le aziende della Repubblica popolare cinese. Più di un mese fa, attraverso una nota del Mise, è stata smentita l’intenzione di precludere alle aziende cinesi (la cui presenza è da tempo, ha raccontato Formiche.net, all’attenzione dei servizi segreti e del Copasir) lo sviluppo della nuova tecnologia in Italia. Il governo ha poi proceduto all’istituzione di un nuovo Centro di valutazione e certificazione nazionale (Cvcn) presso l’Iscti del Mise, e all’estensione del Golden power – la normativa sulle prerogative ‘speciali’ che lo Stato può usare a difesa degli assetti societari nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica in ambiti come l’energia, i trasporti e le comunicazioni – allargata alla stipula di contratti o accordi aventi ad oggetto l’acquisto di beni o servizi relativi alla progettazione, alla realizzazione, alla manutenzione e alla gestione delle reti inerenti i servizi” delle reti 5G, quando posti in essere con soggetti esterni all’Unione europea. Mitigare i rischi, però, ha evidenziato Strayer, potrebbe essere difficile.

5G, Huawei

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