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Dopo una lunga e polemica campagna elettorale siamo arrivati finalmente al voto. A livello europeo, nonostante il calo dei popolari e dei socialisti e le vittorie di Salvini e della Le Pen, le destre sovraniste non hanno sfondato. C’è stata una forte partecipazione al voto ed una grande maggioranza europeista: e questi sono due dati sicuramente positivi. Adesso spetta alle forze che daranno vita alla maggioranza in Parlamento prendere atto delle difficoltà e degli errori di questi ultimi anni e creare una leadership forte, credibile, espressione dei popoli e non delle burocrazie, che miri ad andare avanti nella costruzione dell’Unione Europea.

In Italia ha vinto la Lega e hanno perso i 5 Stelle. In attesa delle probabili ripercussioni sul governo, adesso, dobbiamo chiederci: di che cosa ha bisogno oggi l’Italia a livello politico? Di una forza liberale, riformista, popolare che anteponga le necessità e gli interessi della società a quelli dello Stato, che valorizzi i corpi intermedi a partire dal più importante che è la famiglia, che promuova uno sviluppo coerente col rispetto del creato, che non subisca i dettami di una cultura che ci vuole tutti uguali, neutri, inoffensivi. Il panorama circostante è sotto gli occhi di tutti: un Paese che sta attaccato con i cerotti, con il grande debito pubblico (di cui nessuno parla) che frena ogni tentativo di riforma, ed una crescente aria generale di sfiducia e di rancore.

Questo governo non ci piace e lo abbiamo detto più volte. Il reddito di cittadinanza è roba da “pensionati mentali” come ha scritto recentemente un autorevole giornalista.

La spazzacorrotti è una norma partorita dal Robespierre di Pomigliano d’Arco, quello che non azzecca un congiuntivo, pensa che Pinochet fosse venezuelano, e pensa di dare lezioni di cultura ai “medievali” e “sfigati” cattolici. Loro, i grillini, quelli che sponsorizzavano l’olio di serpente di Stamina, vengono a darci lezioni di civiltà, ma sono stati travolti e difficilmente credo si rialzeranno.

Ma anche la Lega, cosa fa? Nonostante abbia tratto, nell’immediato, il maggior vantaggio dalla situazione di grande insoddisfazione che aleggia in Italia, finché terrà in piedi un esecutivo come l’attuale non potrà mai incidere per dare una svolta costruttiva a questo malandato Paese.

Noi abbiamo sostenuto quelle forze che più delle altre, anche per il collegamento con il Ppe, fanno riferimento alla tradizione popolare e riformista, ma con la prospettiva di lavorare affinché la loro voce (oggi afona e malconcia) torni a farsi sentire e a rappresentare. Ma dobbiamo guardare oltre questi contenitori così come sono adesso. Non è tutto deserto intorno a noi: esistono ancora realtà e persone, idee, esperienze, modi di pensare che meritano di essere valorizzati e rappresentati. Ecco perché abbiamo detto più volte, prima e durante la campagna elettorale, che il compito che ci aspetta è ben più arduo del semplice voto.

Oggi il dibattito pubblico, spesso astioso e rancoroso, è stretto nel binomio “tecnocrazia contro populismo”, “globalismo contro sovranismo”, “élite contro popolo”. Ora al di là delle definizioni grossolane è chiaro che tra questi due estremi esiste una via intermedia, che sappia cogliere dal primo i vantaggi della modernità e dal secondo quelli della tradizione: questo è il popolarismo, un mix di moderazione e riformismo. Questo è quello a cui stiamo lavorando da tempo e a cui lavoreremo con più forza a partire da adesso, con le carte in regola perché anche in questa campagna elettorale noi abbiamo deciso di metterci la faccia.

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