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L’oncologia affronta oggi sfide complesse, tra cui l’aumento dell’incidenza dei tumori, l’accesso equo alle terapie più innovative e la necessità di garantire standard minimi omogenei su tutto il territorio nazionale. Nonostante i progressi tecnologici e l’introduzione di Percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali (Pdta) in molte regioni, persistono significative disparità nella gestione e nella presa in carico dei pazienti oncologici. Quali sono le prospettive per il futuro e come possiamo affrontare queste sfide? Ne abbiamo parlato con Giuseppe Curigliano, professore di Oncologia medica presso l’università di Milano, vice direttore scientifico dello Ieo, Istituto europeo di oncologia e neo presidente Esmo, European society for medical oncology.

Oncologia, cosa suggeriscono le previsioni in materia di incidenza nel prossimo futuro?
Sicuramente ci aspettiamo un aumento dell’incidenza di tumore mammario. Attualmente, nel nostro Paese, registriamo circa 65mila casi l’anno, ma con l’implementazione degli screening e con una maggiore sensibilità da parte delle donne, prevediamo un incremento delle diagnosi, auspicabilmente in stadi più precoci. Non si tratta tanto di un aumento dell’incidenza in senso stretto, quanto di una maggiore capacità di scoprire nuovi casi. Vorrei sottolineare anche lo spostamento dell’incidenza verso una popolazione più giovane. Fino a qualche anno fa, lo screening era consigliato solo alle donne in menopausa, mentre recentemente è stato esteso alle donne a partire dai 45 anni. In sintesi, ci aspettiamo più casi perché aumenta la popolazione destinataria delle attività di prevenzione.

Come definirebbe lo stato di salute delle cure disponibili per i pazienti oncologici in Italia e, in particolar modo, dell’accesso alle cure e alle terapie?
Se dovessi fornire un’istantanea della situazione attuale, direi che in questo momento i nostri pazienti con tumore mammario avrebbero accesso a tutti i trattamenti disponibili, inclusi alcuni farmaci che, pur non essendo ancora rimborsabili nel nostro Paese, sono accessibili attraverso programmi di accesso esteso. Personalmente, considero questo momento storico molto positivo per quanto riguarda l’accesso alle cure: non c’è alcun farmaco negato ai nostri pazienti. A titolo di esempio, ricordo che a metà agosto il Regno Unito ha negato la rimborsabilità di un anticorpo monoclonale alle donne con tumore mammario metastatico a causa di disaccordi sul prezzo. Questo rafforza ulteriormente la mia valutazione positiva sulla situazione italiana.

Pdta: cosa sono e perché possono essere cruciali nel campo dell’oncologia, anche alla luce delle recenti previsioni?
I Percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali (Pdta) sono percorsi strutturati che consentono al paziente di seguire un percorso predefinito che rispetta i migliori standard sia diagnostici che terapeutici disponibili per quella specifica patologia. Sono importanti perché garantiscono al paziente un percorso di diagnosi, cura e follow-up conforme ai migliori standard internazionali e uniforme nel territorio nazionale. Inoltre, la presenza di un Pdta fa sì che il personale medico non abbia bisogno di un know-how particolarmente elevato su quella specifica patologia perché i percorsi sono già predefiniti e consolidati, garantendo così al paziente un eccellente outcome.

Accesso alle cure e tempi certi, come abbiamo detto, sono una priorità per i pazienti oncologici. Ciononostante, non possiamo ancora definirci totalmente soddisfatti in tal senso, anche a causa della non completa implementazione delle Reti oncologiche regionali e della mancanza di Pdta per moltissime neoplasie. Come agire in tal senso?
Il fatto che ci siano ancora regioni d’Italia prive di una rete oncologica nazionale è sicuramente un problema, sebbene oggi si stiano muovendo tutte in questa direzione. Sarebbe a mio avviso importante organizzare incontri di confronto e condivisione della documentazione esistente tra le varie regioni, per poi adattare i Pdta alle specificità della propria regione. I principi fondamentali del Pdta sono comunque universali: tempi di diagnostica, biopsia, indicazioni terapeutiche in fase pre e post-operatoria. Non vedo quindi giustificazioni per ritardi nell’implementazione di un Pdta, che può essere introdotto in qualsiasi ospedale una volta scritto e definito.

Nel contesto delle differenze territoriali – fra Nord e Sud, ma non solo – nella presa in carico e nella gestione dei pazienti oncologici in Italia, qual è la situazione attuale? Esistono ancora gap significativi tra le diverse regioni o si tratta più di una percezione che di una realtà?
Purtroppo, esistono ancora gap significativi, come dimostrano i dati sugli outcome e ritengo che il concetto di sanità regionale abbia creato delle disparità, sebbene prevalentemente di natura organizzativa. Ritengo che, se le regioni dove esistono questi gap implementassero rapidamente i Pdta, magari attraverso progetti di collaborazione con altre regioni, si potrebbe migliorare significativamente la presa in carico dei pazienti oncologici. È importante però ricordare che un Pdta non è solo un documento scritto, ma richiede la garanzia di servizi adeguati. Ad esempio, se si prevede di effettuare una biopsia entro un mese, le regioni devono garantire la disponibilità di strutture e personale per rispettare questi tempi, assicurando diagnosi precoci e l’erogazione tempestiva delle cure necessarie.

Un uso sistematico e ordinato dei Pdta può avere ricadute positive anche sul piano della sostenibilità? Come, a livello non solo teorico ma pratico?
Assolutamente sì. Se disponi di una procedura operativa standard (Sop) e conosci l’epidemiologia di una patologia nella tua regione, puoi pianificare e allocare correttamente le risorse. Ad esempio, se sappiamo che in una regione ci sono 700 casi l’anno di tumore mammario, possiamo pianificare un budget che garantisca, oltre a 1.500/2.000 mammografie, anche 700 biopsie. Di queste, il 70% saranno tumori endocrino-responsivi che andranno in chirurgia. Questo ci permette di pianificare le sale operatorie e i servizi necessari. Il Pdta è, quindi, un modello operativo che consente una corretta pianificazione sanitaria e permette di allocare il budget adeguato per quel determinato medical need. Ecco perché, dal punto di vista pratico, è fondamentale averlo.

Spostiamoci sul dossier liste d’attesa, di cui si è ampiamente discusso nel mese di luglio sino alla sua approvazione definitiva. Alcuni emendamenti, presentati da forze politiche eterogenee, prevedevano che il ministero della Salute, sentite Agenas e Conferenza Stato-Regioni, adottasse delle linee guida contenenti gli standard minimi omogenei per la redazione dei Pdta regionali in ambito oncologico. Purtroppo non sono stati resi ammissibili. Quanto sarebbe importante, per i pazienti oncologici, un intervento come questo?
Sicuramente un Pdta, per definizione, deve riferire degli standard minimi. Non si può pensare di fare un Pdta con diagnostiche complesse o implementando tecnologie senza evidenze, ma un Pdta standard dovrebbe garantire una mammografia, un’ecografia, una risonanza magnetica quando necessario, una biopsia, un esame istologico e una terapia. Ritengo inoltre che non possano esserci Percorsi differenziati a livello regionale in un Paese piccolo come il nostro, che ospita sessanta milioni di abitanti, e che per fortuna non ha la difficoltà degli Usa o della Cina, o ancora dell’India, che presentano variazioni epidemiologiche a seconda delle aree geografiche. In conclusione, ritengo essenziale che sentita Agenas e la Conferenza Stato-Regioni vi siano degli standard minimi per i Pdta. Anzi, vorrei suggerire, proprio in maniera operativa, che sia la stessa Agenas a farsi promotrice di un tavolo di lavoro, un workshop nazionale, in cui vi sia uno sharing di tutti i programmi di Pdta implementati regione per regione over all. Forse questo potrebbe essere uno spunto di riflessione per omogeneizzare tutti i Pdta e soprattutto per offrire alle regioni che non hanno l’opportunità di allinearsi.

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