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Schopenhauer ci rimproverava una “perfetta impudenza”, Stendhal un’irresistibile inclinazione verso i piaceri della vita contrapposti ai doveri del cittadino e dell’uomo di Stato, Napoleone una sostanziale inaffidabilità militare. Tesi che Winston Churchill riassunse in un’affermazione tanto nota quanto urticante: “Gli italiani perdono le partite di calcio come se fossero guerre e perdono le guerre come se fossero partite di calcio”.

Quella che si combatte in Ucraina non è, con tutta evidenza, una partita di calcio. Tuttavia l’atteggiamento della classe politica italiana nel suo complesso rischia di confermare il pregiudizio churchilliano. Ne ne sono prova i recenti distinguo di importanti ministri del governo Meloni e del vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini circa l’uso delle armi italiane inviate a Kyiv, con l’esplicita raccomandazione di usarle per difendersi ma non per offendere. Come se in guerra la distinzione fosse possibile. Come se non fosse sempre vera l’affermazione del filosofo liberale Montesquieu, secondo il quale “il diritto di difesa naturale comporta talvolta la necessità di attaccare”.

Il fatto che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni abbia taciuto, delegando al responsabile dell’organizzazione di Fratelli d’Italia, Giovanni Donzelli, le necessarie rassicurazioni circa la coerenza dell’Italia sulla scena atlantica ed internazionale rassicura il giusto. Non rassicura affatto l’atteggiamento delle opposizioni. Si sa che il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte è fermamente contrario all’invio, e naturalmente all’uso, di armamenti all’Ucraina. Ma non per questo il Pd è chiaramente a favore. Al pari della Meloni, Elly Schlein ha infatti scelto la via del silenzio. Mentre la nota vergata e diffusa dalla capogruppo dei deputati Chiara Braga per chiedere chiarezza al governo in nulla chiarisce la linea del Partito democratico.

Sarebbe straordinario se l’Italia, intesa come un tutt’uno, potesse orgogliosamente sfatare i pregiudizi che dai tempi dei Grand Tour settecenteschi gravano sul Bel Paese. Sarebbe straordinario se la classe politica italiana facesse realmente propria la regola codificata nelle relazioni internazionali secondo cui i patti debbono essere sempre rispettati, e quella, non scritta, secondo cui in materia di politica estera e di difesa si deve parlare con una sola voce. Sarebbe straordinario se, al di là delle distinzioni politiche, il neo designato commissario europeo italiano Raffaele Fitto potesse sentire di avere dalla propria la forza e il consenso di tutti i partiti politici del proprio Paese, indipendentemente dal fatto che in Parlamento siedano sui banchi della maggioranza o su quelli dell’opposizione.

Sarebbe straordinario, ma molto, anche se non tutto, lascia intendere che siamo ancora, inesorabilmente, calati nell’ordinario: un’Italietta poco affidabile sulla scena internazionale e molto divisa sulla scena interna.

Ucraina, le ambiguità che confermano gli antichi pregiudizi sull’Italia

Sarebbe straordinario se l’Italia, intesa come un tutt’uno, potesse orgogliosamente sfatare i pregiudizi che dai tempi dei Grand Tour settecenteschi gravano sul Bel Paese. Sarebbe straordinario se la classe politica italiana facesse realmente propria la regola codificata nelle relazioni internazionali secondo cui i patti debbono essere sempre rispettati, e quella, non scritta, secondo cui in materia di politica estera e di difesa si deve parlare con una sola voce. L’opinione di Andrea Cangini

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