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Afaq Hussain ha curato un’analisi per l’Atlantic Council in cui ritiene che con l’incontro di martedì tra i leader di Arabia Saudita e Stati Uniti, il principe ereditario Mohammed bin Salman e il presidente Donald Trump, si presenta un’opportunità per rilanciare un’iniziativa di connettività regionale “flagship” che è rimasta in sospeso per oltre due anni: il Corridoio India-Medio Oriente-Europa (Imec).

Perché? Perché la cornice geopolitica è mutata. Il cessate il fuoco a Gaza – promosso grazie al cosiddetto “Trump Plan”, perfettibile certamente, ma l’unico realmente in grado di dare una spinta operativa al processo di tregua – ha riaperto canali diplomatici che sembravano cristallizzati. Washington sta cercando di ricostruire un ordine minimo nel Medio Oriente, mentre Riad intende usare la fase di stabilizzazione per accelerare la sua traiettoria di potenza logistica e investitrice, coerente con Vision 2030. Hussain ricorda che, nel disegno originario del 2023 (quando durante il G20 di New Delhi era stato lanciato da sette Paesi, tra cui l’Italia), l’Arabia Saudita è l’ingranaggio che connette i due segmenti del corridoio indo-mediterraneo: quello orientale (già funzionante soprattutto grazie ai legami strutturati tra India e Uae) e quello euro-mediterraneo (che procede a rilento, rallentato anche dagli effetti prodotti dall’attacco di Hamas e dalla conseguente destabilizzazione regionale).

Senza un ruolo attivo saudita — politico, tecnico, istituzionale — il progetto semplicemente non si muove. Esiste nei fatti, grazie a trasferimenti di merci già in corso tramite forme secondarie ufficiose, ma non acquisisce il peso politico che potrebbe avere. Hussain propone un elemento concreto: collocare a Riad il Segretariato dell’Imec. Non è un dettaglio amministrativo. Significa istituzionalizzare la centralità saudita nella governance della connettività tra Asia ed Europa. La visita a Washington è il momento in cui questa ipotesi può essere resa politicamente praticabile. Sebbene non vi siano per ora riferimenti ufficiali a dialoghi avuti tra i due leader sul tema Imec, tale lettura resta valida e potenzialmente oggetto anche di discussioni successive.

L’interesse europeo — e italiano — converge su questo punto. Roma, la più impegnata della capitali europei (con Parigi) per ovvie ragioni geografico-strategiche, non guarda all’Imec come a un’astrazione geopolitica, ma come a un’infrastruttura geoeconomica e già in parte operativa nell’ottica di lunga gittata del business. L’ambasciatore Francesco Maria Talò, inviato speciale italiano per il corridoio, ha per esempio parlato anche su queste colonne di “rete di connettività” fondata su strumenti tecnici, interoperabilità, studi di fattibilità e coinvolgimento del settore privato. È il linguaggio dell’operatività quello che viene usato, non della diplomazia simbolica. Ed è dunque su questo che si basa l’assunto sull’interesse transazionale che Donald Trump potrebbe avere nel progetto – con la sponda saudita a maggior ragione. In quest’ottica, l’Italia sta lavorando su tre livelli: coordinamento interno, Team Europe, dialogo con i partner del Golfo, dell’India e degli Stati Uniti. E Washington, come nota Talò, considera l’asse India-Israele-Italia come uno dei pilastri dell’architettura Imec, così come lo è il regno – e l’obiettivo della normalizzazione con lo stato ebraico è da leggere anche sotto questo, non certo secondario, obiettivo.

La dimensione politica si intreccia con quella economica. Trieste, indicata dal ministro Antonio Tajani come terminale naturale europeo del corridoio anche durante un recente incontro con la controparte saudita, rientra in una geografia dove Roma ambisce a legare Mediterraneo allargato, Balcani e dorsale centrale europea (magari attraverso altre reti come l’Ince e la TSI). L’Imec — integrato nel Global Gateway — è il veicolo per farlo.

Da qui, anche il rapporto Italia–Arabia Saudita si sta riallineando su questa logica di connettività. La dichiarazione congiunta tra Tajani e l’omologo Faisal bin Farhan segnala una convergenza politica: sul Gaza file, anche questo elemento per eliminare un cruciale hotspot di destabilizzazione regionale, ma soprattutto sulla visione più ampia dell’Indo-Mediterraneo. Roma riconosce la centralità saudita nella regione, mentre Riad apprezza la disponibilità italiana a cooperare su Imec come insieme di rotte geostrategiche verso l’Europa. Per l’Italia significa rafforzare l’export e posizionarsi come ponte infrastrutturale tra l’Unione Europea e il Golfo; per l’Arabia Saudita significa legare Vision 2030 a reti globali di trasporto e investimenti.

Da qui, il punto strategico. L’onda lunga della visita di MbS a Washington può segnare la transizione dell’Imec da promessa a progetto. Hussain osserva che gli ostacoli sono politici prima che tecnici: normalizzazione saudita-israeliana, governance multilaterale, nomina di inviati nazionali, riattivazione dei gruppi di lavoro. Ma gli incentivi sono più forti di ieri. Per gli Stati Uniti, riagganciare Riad a un’infrastruttura economica transcontinentale è un modo per riaffermare presenza strategica. Per l’Italia, significa essere parte di un disegno che redistribuisce la geografia del commercio eurasiatico. Se il corridoio ripartirà, sarà perché Washington e Riad avranno trovato un punto di equilibrio. E perché l’Europa — Italia compresa — avrà scelto di giocare da protagonista.

Cosi Imec può capitalizzare dall’incontro Trump-bin Salman

La centralità saudita è decisiva per far avanzare il corridoio e per l’Europa, Italia inclusa, questo può trasformarsi in un’opportunità strategica di connettività e influenza. L’analisi di Afaq Hussain (Atlantic Council) indica che la visita di Mohammed bin Salman a Washington riapre la possibilità di rilanciare l’Imec, bloccato dai tragici fatti che hanno seguito il 7 ottobre 2023 e ripartito con vigore soltanto nella primavere del 2025

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