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Ha fatto discutere la recente nomina di Luigi Sbarra, ex segretario generale della Cisl ed esponente del cattolicesimo sociale, a sottosegretario alla presidenza del Consiglio con la delega ai problemi del Sud. Ha fatto discutere per una semplice ragione. Perché secondo la vulgata generale il sindacato oggi ha un senso e una mission nel nostro Paese solo se coincide con il modello politico dell’attuale segretario generale della Cgil Landini. O meglio, tutto ciò che si allontana o che si differenzia da quella prassi è da respingere. E quindi, e di conseguenza, un sindacato è sulla retta via se ripropone la storica e ormai conosciutissima “cinghia di trasmissione” con il partito principale della sinistra italiana.

Con la differenza, non marginale, che oggi non si tratta più di un sindacato che segue fedelmente gli ordini del partito ma, al contrario, è il sindacato stesso che detta l’agenda politica ai partiti di riferimento e all’intera coalizione progressista. Come, del resto, è capitato puntualmente con l’ultima consultazione referendaria a proposito dei quesiti sul lavoro.

Ma, per tornare al tema iniziale, credo che non possiamo non ricordare che il destino, la prospettiva e il ruolo del cattolicesimo sociale, ieri come oggi, continuano a giocare un ruolo importante nel dibattito politico, culturale e sociale del nostro Paese. Perché si tratta di una cultura politica che, dalla stesura nel 1891 della oramai celebre enciclica di Leone XIII “Rerum Novarum”, continua ad essere un asse portante della stessa presenza dei cattolici nella vita pubblica italiana. E se il cattolicesimo sociale oggi, e purtroppo, non svolge un ruolo significativo nelle dinamiche politiche italiane per la sostanziale assenza di un partito o di partiti che si rifanno a quella cultura politica, è compito di chi si riconosce in questo patrimonio culturale, politico ed etico impegnarsi affinché quei valori e quei principi abbiano, seppur in forma aggiornata e rivista, una nuova e rinnovata cittadinanza.

Non perché sia utile a questo filone di pensiero ma per la semplice ragione che è necessaria per la qualità della nostra democrazia e per lo stesso rinnovamento della politica italiana. E, accanto alla dimensione politica c’è indubbiamente quella sociale. E, su questo versante, la Cisl continua ad essere, ieri come oggi, un pilastro insostituibile nella difesa e nella promozione concreta del cattolicesimo sociale attraverso l’azione quotidiana a difesa dei lavoratori e dei ceti popolari. Certo, le stagioni storiche mutano e, di conseguenza, anche le condizioni concrete che possono garantire, o meno, la presenza attiva di questo patrimonio culturale e politico.

Basti pensare, per fare un solo esempio, al protagonismo politico, culturale, sindacale ed anche di governo svolto per molti anni da due significativi esponenti di questo filone di pensiero: Carlo Donat-Cattin e Franco Marini. Due personalità che, attraverso il loro concreto magistero, hanno scandito la presenza attiva e rilevante del cattolicesimo sociale nelle dinamiche della politica italiana. Nei rispettivi partiti di riferimento come nel sindacato, nel dibattito all’interno dell’area cattolica come nella concreta azione di governo.

E se oggi mancano i grandi e riconosciuti punti di riferimento del passato, è altrettanto indubbio che il cattolicesimo sociale continua ad essere una cultura e un giacimento di valori che può e deve orientare e condizionare la cultura e la politica italiana. Tocca a chi, appunto, si riconosce in quell’area ritrovare le motivazioni e l’entusiasmo per inverarlo nella società contemporanea. Senza arroganza e senza alcuna presunzione intellettuale ma sempre e solo attraverso il metodo del confronto, del dialogo e della proposta.

Il destino del cattolicesimo sociale. L'opinione di Merlo

Il cattolicesimo sociale continua ad essere una cultura e un giacimento di valori che può e deve orientare e condizionare la cultura e la politica italiana. Tocca a chi si riconosce in quell’area ritrovare le motivazioni e l’entusiasmo per inverarlo nella società contemporanea. L’opinione di Giorgio Merlo

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