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“Tre cose non possono essere nascoste a lungo: la Luna, il Sole e la Verità”, questo il motto di Julian Assange il fondatore di WikiLeaks, il sito web internazionale senza scopo di lucro che riceve in modo anonimo e protetto da un potente sistema di cifratura, documenti coperti da segreto. Parole che gli si leggevano negli occhi mentre lasciava il carcere nel Regno Unito e si imbarcava sull’aereo privato che l’avrebbe portato in Australia, ponendo fine a 14 anni da incubo.

Accusato di aver rivelato centinaia di migliaia di documenti riservati degli Stati Uniti sulle attività militari e diplomatiche in tutto il mondo e sui crimini di guerra compiuti in particolare in Iraq e Afghanistan, il 52enne giornalista ed esperto informatico australiano comparirà davanti a un tribunale federale delle Isole Marianne, un lembo di territorio statunitense nel Pacifico.

Secondo l’accordo raggiunto con il Dipartimento della giustizia americano Assange si dichiara colpevole di divulgazione di informazioni relative alla difesa nazionale, sarà condannato a 62 mesi di carcere, già scontati in detenzione preventiva a Londra e quindi tornerà definitivamente libero.

Si conclude così una saga che, ricollegandosi alla pubblicazione dei Pentagon papers, sui retroscena della guerra in Vietnam ed al caso Watergate, ha rappresentato a livello internazionale la frontiera della libertà di stampa e della difesa dei diritti dell’informazione libera. Assange ha lottato per evitare di essere consegnato alla giustizia statunitense, che dal 2010 lo perseguiva per aver reso pubblici oltre 700.000 documenti classificati come segreti sulle attività militari e diplomatiche degli Stati Uniti. Sulla base di 18 capi d’accusa, per la legge sullo spionaggio, rischiava fino a 175 anni di reclusione.

La militare americano che gli aveva passato i documenti, Chelsea Manning, è stata condannata a 35 anni di carcere da una corte marziale nell’agosto 2013, ma è stata rilasciata dopo sette anni in seguito alla commutazione della pena da parte del presidente Barack Obama.

Nell’ultimo sviluppo della drammatica vicenda di Assange, diventato il simbolo delle minacce alla libertà di stampa, il giornalista dopo aver vissuto per sette anni come rifugiato politico all’interno dell’ambasciata dell’Equador a Londra, è stato processato dall’Alta Corte britannica che però gli ha riconosciuto il diritto di ricorrere in appello contro l’estradizione richiesta dagli Stati Uniti.

Oltre all’accondiscendenza e alla clemenza del presidente americano Biden, all’accordo fra Assange e il Dipartimento della giustizia Usa ha concorso anche l’apporto del premier australiano, il laburista Antony Albanese.

Dopo aver recuperato salute e forze, Assange è pronto a riprendere l’attività di rivelatore di segreti inconfessabili, perché come sostiene lo storico Alessandro Morandotti “tutte le verità sono già state dette, ma lo spazio per altre menzogne è infinito”

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