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Un altro colpo, molto simile a quello di grazia. Il sogno cinese di disarcionare il dollaro dal trono delle monete globali, è a un passo dal fallimento. Manca solo una piccola spinta, perché tutto vada in pezzi. E pensare che fino a qualche mese fa a Pechino ancora ci credevano che fosse possibile spostare il baricentro monetario verso est, erodendo supremazia al biglietto verde. L’idea era quella di creare una saldatura con la Russia che, tagliata fuori dal mercato per via delle sanzioni, da due anni ha la necessità di appoggiare il proprio sistema finanziario a una moneta amica, che non poteva certo essere il dollaro.

Peccato che, come raccontato da Formiche.net, le banche russe siano improvvisamente finite a corto di yuan, costrette a bussare alla porta della Banca centrale, per sentirsi dire che di voglia di comprare dalla Cina altri stock di yuan ce ne era davvero poca. L’altro caposaldo della strategia cinese era convincere gli investitori e i grandi fondi a comprare in yuan, aumentando l’apprezzamento della moneta cinese sul dollaro e la sua credibilità a livello internazionale. Un modo per dire che sì, investire in yuan era un buon affare.

Ma le cose non sono andate esattamente così. Forse spaventati dalla possibile, meglio probabile, bolla dei bond sovrani rimasti nella pancia delle banche e alle prese con una rapida discesa dei rendimenti, chi doveva comprare si è tirato indietro. Tanto che gli acquisti di banconote da parte dei fondi globali sono improvvisamente crollati ad agosto. Per dare due cifre, le istituzioni straniere hanno acquistato solo 28 miliardi di yuan (4 miliardi di dollari) di certificati negoziabili di depositi emessi dalle banche cinesi ad agosto: appena un quarto degli acquisti nel mese precedente e il minimo dall’ottobre 2023.

Da inizio anno la moneta cinese ha ceduto il 2% rispetto a quella americana. La spinta del mercato è dovuta in gran parte all’apprezzamento inatteso del dollaro, che ha colpito ancora di più le altre valute asiatiche, dallo yen giapponese (-11% da inizio anno) al won sudcoreano (-8%), dalla rupia indonesiana (-6%) al dong vietnamita (-4%), costringendo banche centrali e ministeri delle finanze a intervenire sul mercato dei cambi per fermare l’emorragia. Ciò significa che i prodotti cinesi hanno perso competitività rispetto a quelli di altre potenze esportatrici presenti nell’area. E il moivo della forza del dollaro sta nella resilienza dell’economia statunitense, che fatica a normalizzarsi in termini di crescita e inflazione anche a causa della politica fiscale inusualmente espansiva.

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