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Dal fallimento della controffensiva ucraina dell’estate del 2023, le operazioni si sono trasformate in una sanguinosa guerra di logoramento. I russi hanno potuto meglio assorbire le enormi perdite di uomini e di mezzi e proseguire nella loro occupazione di piccole zone del territorio ucraino e nella riconquista delle zone perdute nel Kursk a seguito del raid di sorpresa ucraino della scorsa estate.

L’andamento delle operazioni da parte di Kyiv è sempre stato influenzato dalla strategia seguita dagli Usa nel loro sostegno militare. Esso è stato condizionato dal timore di provocare un’escalation nucleare da parte di Mosca. Ciò li ha indotti a limitare sia qualitativamente che quantitativamente le armi date agli ucraini al metterli in condizioni di resistere, ma non di infliggere eccessive perdite ai russi. Era una strategia che presentava una forte dissociazione fra i mezzi e i fini che Zelensky aveva indicato per il conflitto: quelli di riconquistare tutti i territori perduti dall’Ucraina. Ovvero, come è stato maliziosamente osservato, “di consentire a Kyiv di combattere i russi fino all’ultimo ucraino”. Tale strategia ipotizzava che, di fronte al mancato sostegno della popolazione ucraina e all’aumento delle perdite russe, il Cremlino si sarebbe ritirato, come aveva fatto in Afghanistan alla fine degli anni ’80. L’assunto si è rivelato errato poiché se in Ucraina non era in gioco la sopravvivenza della Russia, lo era il destino del regime di Putin, saldamente installato al Cremlino.

La strategia negoziale di Trump inizialmente ha avuto successo, ma si sta rivelando fallimentare. Nonostante la sua superiorità, il Cremlino non riesce a sfondare il fronte ucraino, da quando la guerra è divenuta di attrito. In essa, la quantità della fanteria gioca un ruolo essenziale, unitamente all’incredibile resilienza delle truppe e della popolazione ucraine.

Nonostante i progressi compiuti dall’industria bellica di Kyiv (che oggi copre il 40% dei fabbisogni bellici), le possibilità di resistenza ucraina continuano a dipendere dai trasferimenti di armi e finanziari occidentali. Sempre maggiore è però la difficoltà di reperire donatori. Inoltre, l’Ucraina risente sempre più della carenza di personale sia militare sia civile e continua a dipendere dalle informazioni e dal sistema delle comunicazioni (Starlink) americane.

Su tale situazione, di per sé difficile, si è abbattuto il “ciclone Trump”. La persuasione del nuovo presidente americano di essere imbattibile come negoziatore e che la chiave del successo in ogni negoziato sia quella di promuovere una mediazione fra le parti, colpendo gli “amici” o, comunque, quelli che non possono dirgli di no, e incentivando i “nemici”, per indurli a negoziare.

Il “gioco” gli è riuscito alle spalle del “povero” Zelensky, peraltro corso rapidamente ai ripari prostrandosi a Trump e dichiaratosi disponibile a seguirne tutte le indicazioni. Con quella “volpe smaliziata” che è Putin, il “metodo Trump” ha invece fatto, malgrado l’ottimismo che quest’ultimo continua ad esprimere, una quasi completa “cilecca”.

Il leader del Cremlino ha intascato le concessioni fattegli dagli americani, ma non ha ceduto in nulla delle sue pretese. Ha concesso a Trump la possibilità di “cantar vittoria”, accettando una tregua di 30 giorni ai bombardamenti delle installazioni energetiche, oggi obiettivo principale dei drones ucraini e, soprattutto, con grande abilità ha allargato il problema dalla realtà dell’Ucraina alle “chiacchiere” della nuova architettura di sicurezza eurasiatica se non globale. Immagino le risate che si devono aver fatto al Cremlino quando Trump si è dichiarato soddisfatto dei risultati conseguiti! Solo dall’Ue era provenuta qualche debole voce di dissenso. Debole perché il piano di riarmo europeo è più timido di quanto venga spesso raffigurato. Fino alla sua attuazione anche l’Ue dovrà “abbozzare” nel suo contrasto ai progetti di Trump. Le risate del Cremlino e le critiche più feroci agli accordi fra gli Usa e la Russia, si sono attenuate quando Trump si è accorto di essere preso in giro da Putin e che quest’ultimo non aveva nessuna intenzione di aderire alla proposta americana della tregua totale di 30 giorni.

Con questo si è aperta una fase nuova. La fine del conflitto sembra dipendere sempre meno dai negoziati e, quindi, si tornerà alle armi.

Dato che i nuovi mezzi bellici favoriscono la difensiva anziché l’offensiva, la Russia non avrà alternativa a continuare i suoi sanguinosi attacchi di fanteria e a subire perdite elevate, mentre i nuovi mezzi costruiti dagli ucraini (missili balistici con gittata di 1.000 km in grado di colpire Mosca e drone con gittata di 3.000 km) infliggeranno crescenti perdite ai russi, senza però avere un impatto decisivo sull’andamento delle operazioni terrestri.

La capacità russa di sostenere il conflitto non deriverà tanto dalla carenza di mezzi e di uomini quanto dalla situazione finanziaria in rapido peggioramento e, soprattutto, dal timore di dover fare crescente affidamento sul sostegno cinese, trasformandosi di fatto in vassalli di Pechino.

La resistenza di Putin alle proposte di tregua totale di 30 giorni fatta da Trump dipenderà dalle valutazioni del Cremlino circa la possibilità di continuare il conflitto senza indebolirsi troppo. Determinante sarà, al riguardo, l’incontro di domani 24 marzo a Riad fra russi e americani e quello parallelo fra americani e ucraini. In essi verranno prese decisioni che influenzeranno i possibili scenari circa il futuro del conflitto, a parer mio, senza grandi risultati.

Il primo scenario è quello di continuare i negoziati, senza grandi speranze di giungere a un compromesso. Esso è reso più probabile dal fatto che Pechino ha affermato di considerare la sua partecipazione alla coalizione di “volenterosi”, che dovrebbe garantire un minimo di sicurezza e quanto resterà di un’Ucraina sovrana e indipendente.

Il secondo scenario è la continuazione dell’attuale conflitto di lunga durata. In esso, l’Ucraina riceverebbe il sostegno non solo degli europei, ma anche degli Usa, che forse potrebbe intensificarsi qualora Trump volesse “punire” la Russia per non aver accettato la sua tregua totale di 30 giorni.

Il terzo scenario è che dopo vicende alterne sia dei negoziati sia dell’andamento delle operazioni, si pervenga a un congelamento di fatto della linea del fronte, cioè ad una “soluzione coreana”, la cui tenuta dipenderà comunque dalla continuazione del sostegno degli Usa all’Ucraina.

Difficile prevedere la probabilità di una delle soluzioni descritte. Esse dipenderanno non solo da Putin, ma anche da Trump che, verosimilmente, si è reso conto che le continue concessioni fatte al Cremlino rischiano di erodere la sua credibilità internazionale, anche nel teatro principale dell’Indo-Pacifico, essenziale non solo per la sicurezza statunitense, ma per l’ordine mondiale.

 

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La guerra in Ucraina è entrata in una fase di logoramento in cui né Mosca né Kyiv riescono a ottenere una vittoria decisiva. Difficile prevedere la probabilità delle soluzioni possibili. Esse dipenderanno non solo da Putin, ma anche da Trump che, verosimilmente, si è reso conto che le continue concessioni fatte al Cremlino rischiano di erodere la sua credibilità internazionale, anche nel teatro principale dell’Indo-Pacifico, essenziale non solo per la sicurezza statunitense, ma per l’ordine mondiale

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