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Il Venezuela è giunto alla crisi finale. Gruppi di militari hanno liberato il vecchio leader dell’opposizione, Leopoldo Lopez, in carcere da cinque anni. Il presidente interino Juan Guaidò ha chiamato la gente in piazza, i ministri della dittatura chavista hanno reagito minacciando la repressione più brutale. La principale base militare di Caracas, La Carlota, sembra schierata con Guaidò. La detonazione era annunciata da giorni. L’opposizione ha deciso di tentare l’ultima carta.

Poche settimane fa Nicolas Maduro aveva resistito. Juan Guaidò, eletto presidente dalla Camera dei deputati, era appoggiato dalle democrazie mondiali e, soprattutto, di tutta America. L’obiettivo era una scossa semi-pacifica al regime. Iniziò con un concerto della star della musica latina al confine colombiano, un trionfo globale per l’opposizione. Invece finì con il blocco (riuscito ai chavisti) dell’ingresso degli aiuti umanitari dal ponte di Cucuta, un fallimento completo. Guaidò però fu accolto trionfalmente in un giro nelle capitali latine, e al suo ritorno in Venezuela. Maduro fece un muro di ferro. Sostenuto dalle principali autocrazie asiatiche, si appoggiava soprattutto al divario militare, al controllo assoluto della forza. Inoltre riuscì a compattare il blocco di potere del regime, forte delle tre risorse restate in un Venezuela in misera: oro, petrolio e narcotraffico.

La battuta d’arresto di febbraio palesò la strategia chavista. Prendere tempo, cercando di far diminuire l’attenzione internazionale, eliminando lentamente alcuni capi dell’opposizione, (arrestati negli ultimi giorni), e recuperando risorse con il commercio dell’oro di Stato venezuelano (lo scandalo è stato però scoperto, giungendo sulla stampa mondiale). Invece l’opposizione non poté far altro che continuare le proteste e le manifestazioni di piazza. Ad un certo punto i suoi dirigenti hanno capito che non c’era più alternativa. Già 5-6 milioni di venezuelani erano fuggiti.

L’emorragia continuava, secondo alcuni dati, al ritmo di cinquemila al giorno. Significava svuotare la base sociale della protesta. Maduro preferiva un Venezuela privo di giovani e delle energie migliori, che lasciare il potere. A questo punto Guaidò, evidentemente dopo una serie di trattative con alcuni vertici militari, ha capito che non si poteva aspettare, lanciando l’operazione Libertad. Tentare di convincere l’esercito a gestire una transizione pacifica, spaccando il blocco di potere del regime, e convocando per domani i venezuelani in piazza. Ora non c’è più ritorno. Sono due le variabili che decideranno l’esito della crisi.

Innanzitutto i rapporti di forza tra i gruppi armati: il regime chavista aveva nominato più generali della Nato, e se non bastava, ha con sé un doppio blocco. I colectivos, con gli altri gruppi politico-criminali-militari connessi alle narco-guerriglie colombiane, e tutti i gruppi cubani presenti nel Paese, ispiratori del Sebin, la potente polizia politica. Senza contare gli interessi legati al Cartel de los Soles, il blocco militare-narcotrafficante che ha tutto l’interesse che la Dea e i suoi colleghi non tornino in Venezuela. L’opposizione può contare solo su una scelta dell’esercito. Già un migliaio di soldati di truppa sono fuggiti in Colombia, alcuni ufficiali si erano ribellati, tra questi l’eroe nazionale, Oscar Perez, fatto giustiziare da Maduro. Ha con sé la stragrande maggioranza del paese, come si vede da anni in piazza, ma si tratta di movimenti civili del tutto privi di strumenti e pratiche militari. La scelta dell’esercito regolare sarà cruciale.

In secondo luogo la sfida internazionale, sul piano politico e mediatico: i due principali protagonisti sono la Colombia e Cuba. Il presidente di Bogotà, Ivan Duque, ha fatto convocare il gruppo di Lima, le grandi democrazie americane schierate con Guaidò, e punta all’appoggio di Usa, Canada ed Europa, per fare la massima pressione, ottenere lo schieramento più deciso contro il regime. Il governo cubano di Rodriguez Parrilla continua invece un ventennale intervento in Venezuela, fatto di presenza armata e direzione politica, ha fatto della dittatura chavista la sua ultima linea difensiva, punta alla solidarietà e agli interessi delle autocrazie asiatiche. La battaglia delle idee è l’ultimo terreno di scontro. L’opposizione venezuelana è riuscita a mobilitare la sua emigrazione globale e parte della stampa democratica di mezzo mondo, ma il regime chavista (e la sua centrale cubana) ha sempre goduto della simpatia che una certa intellettualità occidentale ha riservato alle dittature comuniste. Questo lasciapassare si è incrinato, ma non del tutto, nell’ultima fase. Maduro spera di utilizzarlo per incrinare il fronte delle democrazie, Guaidò conta di ottenere il sostegno della comunicazione liberale. In entrambi i casi, solo la pressione internazionale può facilitare un cambiamento nel divario militare. Il Venezuela è alla crisi finale, la partita è aperta, in questi giorni si deciderà la sua storia, e parte di quella della nostra epoca.

Dopo aver svuotato e indebolito il Venezuela, è arrivata la crisi finale di Maduro

Il Venezuela è giunto alla crisi finale. Gruppi di militari hanno liberato il vecchio leader dell’opposizione, Leopoldo Lopez, in carcere da cinque anni. Il presidente interino Juan Guaidò ha chiamato la gente in piazza, i ministri della dittatura chavista hanno reagito minacciando la repressione più brutale. La principale base militare di Caracas, La Carlota, sembra schierata con Guaidò. La detonazione…

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