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Il bivio è semplice. Un nuovo patto gialloverde, con Giuseppe Conte che sostituisce il contratto e si impegna a fare il garante dell’alleanza, oppure tutti a casa. Il premier parla alle 18.15 in conferenza stampa, e ha fatto capire che non userà i guanti. Manlio Di Stefano, sottosegretario agli Esteri in quota M5S molto vicino al leader Luigi Di Maio, ancora ci crede. Tornare al voto per rimettere insieme Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, spiega a Formiche.net, non è una gran prospettiva. Un modus vivendi si può trovare, ma chi pensa che le europee abbiano inaugurato un monocolore leghista “si sbaglia di grosso”.

Cosa vi aspettate da Conte?

Ora che ha parlato con i due vicepremier mi aspetto comunichi una direzione comune di cui si senta garante. Nei primi mesi di governo l’unico garante è stato il contratto. Oggi che c’è questa voglia un po’ smodata della Lega di emergere quel contratto non è più sufficiente.

Cioè?

La politica sta avendo la meglio sulla pratica, c’è bisogno che Conte divenga il garante permettendo al governo di mantenere la barra dritta sul contratto, senza che ogni sparata si trasformi in un casus belli quotidiano.

Temete le elezioni anticipate?

Non abbiamo mai avuto paura di andare al voto. Alle elezioni nazionali siamo sempre stati forti, siamo in grado di comunicare un’idea di Paese vincente e per questo la gente si fida di noi. Forse questa fiducia è stata un po’ minata dalla compartecipazione della Lega al governo, ha destabilizzato i nostri elettori.

Se restate al governo c’è il rischio logoramento. Non è meglio tornare alle urne?

Da italiano prima ancora che da membro di questo governo penso che sarebbe un peccato tornare al voto. Abbiamo fatto ottime cose in questi dodici mesi, reddito di cittadinanza, quota 100, legge anticorruzione, salario minimo, ora tocca alla flat tax. Dovremmo buttare tutto questo all’aria per cosa? Permettere alla Lega di tornare con Berlusconi?

Lei invita alla prudenza, altri sembrano cercare l’incidente. Roberto Fico, ad esempio.

Roberto a volte si cala nel ruolo di presidente della Camera senza ricordarsi che le sue parole vengono associate al Movimento Cinque Stelle. Lui deve sempre esprimere il suo pensiero, ma a volte questa associazione può crearci problemi. Come ha detto Luigi (Di Maio, ndr) in questo momento non abbiamo bisogno di provocazioni.

Che dire invece del pasticcio al Mef sulla letterina alla Commissione?

Quello è un problema tutto in casa Lega e Tria. Il titolare del Mef non è un ministro del Movimento, la prima lettera che è circolata ha un contenuto che rinneghiamo da cima a fondo. Per noi è impensabile tagliare ancora sul welfare, ci siamo messi Monti alle spalle e non abbiamo intenzione di fare marcia indietro.

Anche la vostra Laura Castelli ha detto di essere a conoscenza di quella bozza.

Non escludo che qualcun altro abbia commesso un errore. L’importante è che chi ha le responsabilità se le prenda. Detto questo, chi pensa che queste elezioni europee abbiano inaugurato un governo monocolore si sbaglia di grosso.

Cioè la Lega. Che ha ricevuto un plebiscito al Nord, e ora deve incassare…

Il plebiscito del Nord è sull’idea di Europa della Lega, le posizioni in Parlamento e nel Consiglio dei ministri rimangono immutate. Certo, il voto ha rafforzato la Lega ma questo non vuol dire che tutte le politiche debbano divenire leghiste.

Salvini ha parlato chiaro: con i no non si va avanti.

Questo story-telling del “vogliamo più sì” non regge. Lo diciamo da mesi e lo ripetiamo. Se flat tax e autonomie sono nel contratto significa che siamo d’accordo anche noi. Sono le condizioni e i dettagli tecnici a fare la differenza. Noi non abbiamo lanciato un ultimatum sulla prima bozza del reddito di cittadinanza.

È trascorso il suo primo anno alla Farnesina. Anche lì vi siete spesso attaccati con la Lega, dal Venezuela alla Cina, dagli Stati Uniti alla Russia…

Se qualcuno ha cercato lo scontro quello di certo non sono io. Ho sempre lavorato portando a casa ottimi risultati forse passati un po’ in sordina, come la riforma degli enti internazionalistici o i bandi per le missioni di pace.

Resta una certa ambiguità sul posizionamento internazionale del governo gialloverde.

La nostra posizione è chiara: siamo posizionati in Europa e nell’Alleanza Atlantica, ma il nostro primo posizionamento è a difesa degli interessi italiani. Sventolare l’atlantismo facendo finta che non ci siano anche altre opportunità mi sembra da ottusi. La Lega ci ha attaccato sull’intesa con la Cina perché non era abbastanza atlantista. Lo devono spiegare alle aziende che in un giorno hanno firmato accordi commerciali da due miliardi di euro.

Gli sconfinamenti di Salvini hanno messo in difficoltà Moavero. L’impressione è che la politica estera non si faccia più alla Farnesina.

Moavero lavora molto bene, paga il prezzo di non avere alle spalle un partito. Quanto al Viminale, è evidente che spesso abbia cercato di valicare la Farnesina. È una brutta pratica che va corretta, e non lo dico contro Salvini, perché Minniti faceva lo stesso prima di lui.

Patti chiari, alleanza lunga. Di Stefano (M5S) avvisa la Lega

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