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I golpisti al potere in Niger hanno firmato un MoU con la CNPC, la più importante compagnia energetica statale Oil&Gas della Cina, legato alla vendita e commercializzazione del greggio proveniente dal giacimento di Agadem, la principale riserva petrolifera del Paese africano.

Quella che Pechino ha progettato con Niamey è la più classica delle operazioni cosiddette “win-win” dalla dottrina diplomatica e narrativa del Partito Comunista Cinese. Entrambe le parti traggono vantaggio: la Cina aumenterà la sua influenza nella geopolitica energetica dell’Africa occidentale, il Niger — grazie alla partnership con i cinesi dal valore stimato attorno ai 400 milioni dollari — riceverà i proventi del petrolio da poter investire.

E potrà farlo anche per migliorare le condizioni di sicurezza nel Paese, che fronteggia l’avanzata jihadista saheliana, e che sta cercando di costruire anche la protezione della giunta al potere dopo il golpe di luglio scorso. “Questa firma dimostra l’amicizia […] e la mutua e fruttuosa cooperazione tra i due stati”, ha detto l’ambasciatore cinese Jiang Feng.

“Il Niger e la Cina segnano un importante passo avanti nel processo che vedrà il Paese diventare un nuovo esportatore di petrolio africano nel 2024. L’accordo da 400 milioni di dollari, particolarmente segreto in quanto le parti non hanno condiviso i dettagli, consentirà alla CNPC di gestire la commercializzazione del petrolio dall’impianto che le stesse aziende cinesi hanno finanziato con miliardi”, spiega Francesco Sassi, esperto di geopolitica dell’energia del RIE. Completa infatti il progetto un oleodotto transfrontaliero per il trasporto del petrolio greggio — lungo 1.980 chilometri, che dall’est del Niger sbocca nell’Oceano Atlantico Meridionale tagliando tutto il territorio del Benin fino al porto di Cotonou. L’infrastruttura dovrebbe iniziare a pompare a pompare a breve secondo un progetto della Petro China, sussidiaria di CNPC.

Sassi ricorda anche che una joint venture guidata proprio dalla CNPC ha sviluppato il campo pozzi di Agadem dal 2011 e attualmente la produzione è usata per la raffineria nazionale di Zinder, che tratta circa 20.000 barili al giorno di diesel, benzina e GPL consumati tutti nel mercato interno.

Finora i proventi rigirati nelle casse nigerine erano perfettamente assorbiti dagli interessi occidentali, perché permettevano di fornire cassa al Paese che Usa e Ue consideravano un baluardo democratico all’interno di una regione in rapida erosione — sia della democrazia che della sicurezza, di cui il Niger è diventato simbolo rappresentativo. Ora le cose sono cambiate.

Il primo ministro nominato dalla giunta militare, Mahaman Lamine Zeine, dice che “la Cina è un grande amico del Niger, non lo diremo mai abbastanza”. E ancora: “Questa firma dimostra l’amicizia e la fruttuosa cooperazione tra i due stati”. Lamine Zeine è colui che si è personalmente occupato di chiudere, durante un incontro a Washington nei giorni scorsi, l’accordo di cooperazione siglato nel 2012 tra Niger e Stati Uniti. Sempre lui, durante una visita a Mosca a gennaio, aveva messo in attività l’accordo fatto dalla giunta con la Russia per ottenere unità per la sicurezza interna — uomini degli Africa Corps, che struttura sostituiva della più nota Wagner, sono arrivati in Niger negli ultimi dieci giorni.

L’accordo con la Cina dimostra quanto riportato dalla voce creata con l’intelligenza artificiale dalla giunta per spiegare, in inglese in un video diffuso nelle scorse settimane, le ragioni della chiusura della collaborazione con gli USA, accusati nella sostanza di voler indirizzare la politica estera nigerina. Il riferimento va all’accordo sulla difesa con la Russia e all’ostacolare una futura intesa con l’Iran sull’uranio. Alla domanda sul se questo deal con la Cina piacerà a Washington è abbastanza scontata.

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