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Sono giorni decisivi per il Venezuela. La scorsa settimana i vertici militari degli Stati Uniti si sono riuniti ben due volte per valutare tutte le opzioni sul tavolo e informare il presidente Donald Trump dei passi successi nell’operazione contro la rete di narcotraffico guidata dal regime venezuelano di Nicolas Maduro. Il centro di operazioni ed incontro è la casa del repubblicano a Mar-a-Lago, in Florida, un luogo emblematico negli Stati Uniti per la quantità di venezuelani in esilio.

Cosa succederà adesso in Venezuela? Trump deve decidere se proseguire la strada dell’attacco militare, sfoggiando tutta la potenzialità degli Usa, con portaerei e caccia, o preferire l’opzione della negoziazione, già tentata più volte dai democratici.

Un interessante reportage dell’Abc indica quattro strategie. La prima è quella di catturare Maduro. Per alcune fonti repubblicane sarebbe l’opzione più voluta ma anche quella più aggressiva. Un gruppo di élite, con la Forza Delta alla guida, entrerebbe in punti selezionati per prendere fisicamente Maduro e funzionari chiavi del suo entourage. L’accusa formale contro Maduro sarebbe quella di dirigere un “narcostato”, che opera anche in Messico e Colombia, e riempie di droga la società americana. La cattura di Maduro sarebbe la scelta considerata “più veloce”, con molti rischi, simile a quanto hanno fatto gli americani nel 1989 contro il generale Noriega in Panama.

Il secondo scenario sarebbe quello di “attacchi limitati” dentro il territorio venezuelano. Colpi di precisione contro strutture militari, depositi di droghe o palazzo che gli americani considerano parte della rete di traffico di droghe. In questo caso non ci sarebbe invasione via terra né presenza militare degli Stati Uniti a lungo termine e l’obiettivo sarebbe quello di fare pressione contro il regime e indebolire gli alleati di Maduro e la loro fedeltà. Secondo il quotidiano The New York Times, in quest’opzione ci sarebbe il coinvolgimento di agenti coperti della Cia e forze speciali di azione.

La terza strada è quella di una pressione estrema, senza operazioni militari via terra, ma con un aumento significativo degli attacchi alle navi nel Mar dei Caraibi. Un proseguimento della strategia di adesso, con manovre nelle acque vicine alle coste venezuelane e l’eliminazione di imbarcazioni sospette, nonché un aumento della “taglia” contro funzionari del regime. Questa scelta punta tutto sull’intimidazione per erodere la struttura interna del chavismo e spingere così il suo crollo.

Infine, la quarta opzione sarebbe quella meno probabile, ulteriori negoziati. In un dialogo con il regime si potrebbe facilitare l’uscita dal Paese e l’esilio di Maduro e i suoi a un Paese a loro amico, come Turchia, Russia, Cuba o Azerbaigian, secondo l’Abc.

Alcune fonti indicano che il Consiglio di sicurezza nazionale avrebbe ricevuto l’offerta di un cambiamento nella presidenza venezuelana, con opzioni come i fratelli Jorge e Delcy Rodriguez (qui un articolo di Formiche.net sulla donna potente del regime), ma per Trump non sarebbe da considerare come soluzione.

Il cammino della negoziazione è il più lungo e complesso, ma potrebbe ridurre i costi militari per gli americani e potrebbe offrire la possibilità di stabilizzare (a lungo termine) l’economia del Venezuela e l’industria petrolifera con tutta la sua potenzialità. Di contro c’è che è già stata tentata come strada dai democratici (l’ultimo è stato Joe Biden) e non ha portato alcun risultato.

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