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Sì, alla Russia serve vendere petrolio e gas. E serve farlo subito. Ormai è quasi una quotidianità al Cremlino: le entrate derivanti dalla vendita di idrocarburi stanno inesorabilmente calando, privando Mosca della sua fonte di approvvigionamento più importante. Il motivo è presto spiegato. A Ovest, l’Europa ha messo sotto embargo l’intero fianco orientale, mentre l’artiglieria ucraina continua a martellare le raffinerie russe al confine con il Paese invaso, privando l’ex Urss delle sue infrastrutture. Dall’altro lato, i Paesi amici, se così si possono chiamare se comprano oro nero, lo comprano a sconto. La Cina, per esempio, del gas russo ha bisogno, ma non lo vuole pagare a prezzi di mercato. L’India, invece, ha cominciato a rivolgersi alla concorrenza, vale a dire a Emirati e Stati Uniti.

C’è un’ultima carta da giocare. E quella carta è il Power of Siberia 2, il progetto per un nuovo gasdotto russo, strombazzato, un mese e mezzo fa, in occasione dell’incontro tra Xi Jinping e Vladimir Putin nell’ambito delle celebrazioni per la vittoria nella seconda guerra mondiale. Un’infrastruttura di tutto rispetto, se non altro perché porterebbe le forniture russe verso la Cina a 56 miliardi di metri cubi all’anno. Problema, la Cina non ne vuol sapere di legarsi mani e piedi al Dragone. E, soprattutto, vuole lo sconto sulle fatture. Per questo il progetto era finito nelle scorse settimane in una sorta di limbo: si fa, non si fa.

Ora Gazprom, il colosso energetico russo protagonista assoluto di questa vicenda, ha deciso di tornare all’attacco e portare a casa il Power of Siberia 2. Come? Elaborando costosi progetti dettagliati nella speranza, tutta della Russia, di compensare parte delle sue esportazioni perdute. Gli ingegenri di Gazprom sono al lavoro in questi giorni, per limare il progetto e tentare di convincere la tentennante Cina della bontà del progetto. Portando avanti la fase di progettazione ingegneristica front-end, che prevede la produzione di centinaia di volumi di documentazione tecnica, ha spiegato in questo senso Sergey Vakulenko, senior fellow presso il Carnegie Endowment for International Peace ed ex capo della strategia di Gazprom Neft, divisione petrolifera di Gazprom.

Tutto questo, però, ha un costo. Effettuare tali studi è stato oneroso, ha spiegato lo stesso Vakulenko, al punto che gli extra costi potrebbero arrivare a rappresentare il 5% del costo totale dell’opera. “Tale spesa è inusuale, a meno che non ci sia una forte convinzione che il denaro venga speso bene e che l’investimento sia sicuro”, ha detto il dirigente di Gazprom. Vero, ma forse a Mosca non hanno alternative. Lo dicono i numeri: La spesa dell’Unione europea per il gas russo, sia via gasdotto che liquefatto (Gnl), è crollata a settembre al livello più basso dall’agosto 2023. Secondo un’analisi di Tass basata su dati Eurostat, a settembre i Paesi Ue hanno pagato un totale di 830 milioni di euro per il gas di Mosca. Una cifra che, pur rimanendo significativa, segna una netta contrazione rispetto ai mesi precedenti.

Mosca sempre più a secco ci riprova con il Power of Siberia 2

La carenza di entrate dalla vendita di idrocarburi è ormai molto più che una minaccia alla tenuta dell’economia russa. Non rimane che raddoppiare le forniture di metano al Dragone, mettendo a terra il gasdotto strombazzato un mese e mezzo fa in occasione del vertice Xi-Putin. Per questo Gazprom prova ad aggirare i dubbi di Pechino

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