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La catena globale della produzione automobilistica è ormai diventata un fronte della competizione strategica tra Stati Uniti e Cina. E il messaggio è emerso con chiarezza durante un’audizione della House Select Committee on China, in cui i vertici della commissione hanno definito i componenti automobilistici prodotti in Cina una vera e propria minaccia alla sicurezza nazionale americana. Affermazione non banale, perché arriva sull’onda dell’effetto internazionale innescato dalla pubblicazione della nuova National Security Strategy, la seconda, definitiva costruita attorno alle visioni politiche che hanno creato la presidenza di Donald Trump.

Secondo il presidente della commissione, John Moolenaar, la presenza di componenti cinesi nei veicoli prodotti o assemblati negli Stati Uniti – dai moduli cellulari a microfoni e telecamere – trasformerebbe “ogni auto in una potenziale piattaforma di spionaggio con un kill switch integrato”. Lo scenario evocato è esplicitamente geopolitico: una crisi su Taiwan, dirigenti statunitensi diretti verso il Pentagono o la Casa Bianca e infrastrutture stradali paralizzate da veicoli che improvvisamente si bloccano, deviano o frenano autonomamente. Fantascientifico? Non troppo: se è vero come è vero che dati e connettività sono le armi del futuro, allora è chiaro che le auto-elettriche sono un concentrato di tutto questo — potenzialmente letale.

Il contesto industriale rafforza l’allarme. L’industria automobilistica cinese, sostenuta dallo Stato e trainata in particolare dal settore dei veicoli elettrici, è diventata nell’ultimo decennio una potenza manifatturiera ed esportatrice globale. A ottobre, secondo Cui Dongshu, segretario generale della China Passenger Car Association, i veicoli cinesi hanno raggiunto il 38% del mercato automobilistico mondiale.

Per il membro di rango della commissione, Raja Krishnamoorthi, questa espansione non è il risultato di una semplice competitività di mercato, ma di una strategia sistemica: appropriazione di proprietà intellettuale, sovrapproduzione, esportazioni a prezzi artificialmente bassi e progressiva eliminazione dei concorrenti stranieri, inclusi quelli statunitensi. Lo scopo è per ora puramente commerciale, o almeno così sembra: ma è chiaro che se si riflette sull’allarme del falco anti-cinese Moolenaar il pensiero viaggia facilmente oltre.

L’audizione è interessante proprio perché segnala un cambio di paradigma: l’automotive non è più solo un settore industriale, ma un nodo critico della sicurezza nazionale. E anche i veicoli, da beni di consumo, entrano sempre più nel perimetro delle infrastrutture strategiche.

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