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A meno di un mese dall’ultimo Consiglio europeo dell’anno, l’Europa prova a ritrovare se stessa su un terreno che più scivoloso di così non potrebbe essere: prestare al Kyiv 140 miliardi da garantire con lo smobilizzo delle riserve della Banca centrale russa messe sotto chiave nel Continente. Se anche il vertice di metà dicembre dovesse fallire, si entrerebbe nella terra di nessuno, con l’Ucraina che ha disponibilità finanziarie per ancora 4-6 mesi e gli Stati Uniti ormai in fase di disimpegno. Il Paese invaso dalla Russia rischia di rimanere senza benzina, nell’impossibilità di continuare a combattere contro Mosca. Figuriamoci ricostruire intere città rase al suolo. O quasi.

A Bruxelles sono giorni febbrili. Ursula von der Leyen, che quei 190 miliardi annidati sui conti li vuole a tutti i costi, sa bene che senza quei fondi sarà impossibile aiutare l’Ucraina. Improbabile, infatti, che i Paesi membri raschino dal fondo del barile dei propri bilanci altri denari. L’alternativa sarebbe l’emissione di debito comune, ma i Paesi frugali farebbero, inevitabilmente, ostruzionismo. Per questo da Bruxelles è partita la lettera per i 27 governi dell’Unione. Nella quale la presidente della Commissione Europea ha delineato le tre principali opzioni che l’Europa ha a disposizione per sostenere le esigenze finanziarie e militari dell’Ucraina nei prossimi due anni.

Il documento analizza i pro e i contro di ciascuna opzione e conferisce un senso di urgenza ai colloqui in vista del vertice chiave di dicembre. Il nodo centrale sono le resistenze del Belgio, Paese che ospita il grosso degli asset di Mosca e che teme una manomissione del diritto internazionale con conseguente perdita di credibilità dell’Ue agli occhi dei grandi investitori internazionali. “Le opzioni presentate in questa nota sono crude, sia nella loro concezione che nelle loro implicazioni. È chiaro che non ci sono opzioni facili”, afferma nel testo von der Leyen. “L’Europa non può permettersi la paralisi, né l’esitazione né la ricerca di soluzioni perfette o semplici che non esistono”.

La lettera di 12 pagine di Von der Leyen mostra l’enorme assistenza di cui l’Ucraina avrà bisogno l’anno prossimo e nel 2027 per continuare a combattere contro l’invasione russa. La Commissione europea stima 83,4 miliardi di euro per le forze armate ucraine e 55,2 miliardi di euro per il funzionamento dell’economia, per un totale di 135 miliardi di euro nei prossimi due anni. Un prestito di 140 miliardi garantito dai beni russi, basterebbe e avanzerebbe. Di qui tre opzioni, per uscire dallo stallo.

La prima ipotesi, indicata dalla stessa von der Leyen, consisterebbe in sovvenzioni a fondo perduto erogate a livello nazionale, ovvero soldi presi direttamente dai bilanci pubblici. La seconda prevederebbe un prestito collettivo a livello di Ue, dunque obbligatorio e non volontario, ma che richiederebbe di rivolgersi ai mercati finanziari e di raccogliere denaro fresco, il che rappresenta un problema per gli Stati membri che devono far fronte a un forte deficit nazionale. Con l’opzione del debito comune, la sottoscrizione dei finanziamenti sarebbe legata alle dimensioni economiche di ogni Stato membro, che dovrebbe pagare anche gli interessi. Se uno o più Paesi decidessero di ritirarsi dal programma, gli altri dovrebbero farsi avanti per colmare la differenza.

Ed ecco la terza opzione, quella più logica, almeno sulla carta. Un prestito da garantire con gli asset russi, la maggior parte dei quali, per un valore di circa 185 miliardi di euro, è detenuta presso la finanziaria belga Euroclear. Secondo lo schema, non ancora sperimentato, Euroclear trasferirebbe i saldi di cassa alla Commissione, che emetterebbe poi un prestito di 140 miliardi di euro all’Ucraina per conto dell’Unione (i restanti 45 miliardi di euro coprirebbero una linea di credito del G7 decisa in occasione del vertice di Borgo Egnazia, a giugno del 2024). All’Ucraina verrebbe chiesto di rimborsare il prestito solo dopo che la Russia avrà posto fine alla sua guerra di aggressione e avrà accettato di risarcire i danni causati. Dopodiché, la Commissione rimborserebbe Euroclear la quale rimborserebbe la Russia, completando il cerchio.

Problema: il Belgio vuole più garanzie. Per placare le preoccupazioni belghe e garantire un accordo sul prestito di riparazione entro la fine dell’anno, von der Leyen si è impegnata a valutare “ulteriori garanzie legali”, tra cui meccanismi che consentano ad altri Stati membri di condividere i potenziali costi di contenziosi internazionali. Tradotto, in caso di cause miliardarie da parte del Cremlino, lo sforzo andrebbe condiviso tra tutti i Paesi membri. E qui si rischia il corto circuito perché 27 governi non sono pochi.

La stessa von der Leyen ha ammesso nella sua missiva Leyen che “i rischi non possono essere completamente eliminati. Dato che questa opzione (quella del prestito garantito dai beni russi, ndr) rappresenterebbe una soluzione innovativa dal punto di vista finanziario e legale, non si può escludere che vi siano potenziali effetti a catena, anche per i mercati finanziari. Sarebbe necessario uno sforzo concertato da parte dell’Unione, e possibilmente dei partner internazionali, per contrastare tale percezione di confisca”. La domanda, però, a questo punto è: quale l’alternativa? 

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