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A che punto siamo con il processo di allargamento dell’Unione Europea? Da mesi ormai le notizie sembrano riguardare esclusivamente l’Ucraina, che aspira (giustamente) a far parte della “famiglia” europea il prima possibile, indirizzando con chiarezza la direzione del proprio futuro quando la guerra con la Russia sarà finalmente terminata (speriamo tutti presto e con condizioni di pace eque).

Tuttavia, ben prima della richiesta di adesione di Kyiv (che vorrebbe bruciare le tappe anche se probabilmente tale “corsia preferenziale” è stata riservata solo alla Germania Est, aiutata anche dalla riunificazione con l’Ovest), altri Paesi situati nella regione dei Balcani Occidentali avevano manifestato la loro volontà di aderire all’Ue e intrapreso un procedimento di avvicinamento lungo e complesso che dura ormai da diversi anni. Stiamo “aspettando Godot” oppure siamo invece vicini a festeggiare l’allargamento della nostra casa comune con l’ingresso di nuovi Stati membri?

Ad oggi, i Paesi ufficialmente candidati all’Unione Europea (secondo la procedura prevista dall’art. 49 del Trattato di Maastricht), sono Albania, Bosnia ed Erzegovina, Georgia, Macedonia del Nord, Montenegro, Moldavia, Serbia, Turchia e Ucraina. Il Kosovo è riconosciuto come potenziale candidato. Alcuni di essi sono candidati già da molti anni, a partire dalla Macedonia del Nord che ha presentato la richiesta addirittura nel 2005; per non parlare della Turchia, per cui parlare di adesione all’Ue sembra oggi utopia, anche se Ankara non ha mai ritirato ufficialmente la propria application dall’ormai lontano 1999.

Negli ultimi mesi, tuttavia, l’allargamento dell’Unione Europea verso i Paesi dei Balcani occidentali ha registrato qualche progresso significativo — pur restando un cammino segnato da incertezze, ritardi e forti sfide politiche.

Infatti, secondo l’ultimo “Pacchetto Allargamento 2025” della Commissione Europea, tra i candidati meglio posizionati spicca il Montenegro (che si è fatto avanti nel 2014). Negli ultimi dodici mesi, Podgorica ha chiuso quattro capitoli negoziali e punta a concludere tutte le trattative entro il 2026, in vista di un’ipotetica adesione nel 2028. Ma anche l’Albania, che può contare sulla forte sponda offerta dall’Italia attraverso gli ottimi rapporti personali tra Edi Rama e Giorgia Meloni, non sfigura: ha aperto quattro nuovi “cluster” negoziali nel corso dell’anno, in particolare su temi chiave come la giustizia, la lotta alla corruzione e al crimine organizzato.

Tirana sta dunque cominciando a prepararsi per una fase più concreta di chiusura capitoli e il suo ingresso nell’Ue sarebbe un vero successo per un Paese che solo trent’anni fa era sprofondato nella povertà e nell’arretratezza (in molti di noi è ancora vivo il ricordo delle navi di profughi che all’inizio degli anni Novanta cercarono rifugio in Italia).

Ma ci sono anche ombre: alcune più facilmente spiegabili, come la Serbia che ha intrapreso da alcuni anni un percorso di allontanamento da Bruxelles per tornare invece a guardare con più decisione verso la Russia.

Altre sono invece relative a Paesi che sono ancora decisi ad avvicinarsi a Bruxelles, ma che come Macedonia del Nord e la Bosnia – sono ancora alle prese con ostacoli interni di natura costituzionale, etnica e istituzionale.

La situazione resta comunque fluida e non ci sono solo i formali step burocratici per favorire l’avvicinamento della regione balcanica all’Ue. Da anni, ad esempio, sono attivi forum di dialogo internazionale per avvicinare i Paesi che fanno parte di regioni contigue, come l’Iniziativa Adriatico-Ionica (Iai), l’Organizzazione della Cooperazione Economica del Mar Nero (Ocemn), l’Iniziativa Centro Europea (InCE) e il Consiglio di Cooperazione Regionale (RCC) per il Sud-Europa.

Nei giorni scorsi si è tenuto a Sarajevo (scelta evidentemente non casuale) un summit congiunto delle quattro organizzazioni, allo scopo di rafforzare il coordinamento tra i principali quadri di cooperazione regionale nell’Europa sudorientale. La discussione si è concentrata sulla connettività in tutte le sue dimensioni: dai corridoi per i trasporti alla digitalizzazione, dalle catene del valore regionali alla circolazione delle persone, fino alla cooperazione in caso di calamità naturali ed emergenze su larga scala, e ovviamente senza trascurare la necessità di mobilitare capitali e investimenti per sostenere queste priorità.

Rafforzare l’integrazione fra questi Paesi rappresenta, prima ancora che il completamento dei passaggi formali a livello giuridico ed economico richiesti da Bruxelles, un passo essenziale per consentire un avvicinamento reale dell’Europa sud-orientale al resto del continente.

Dal punto di vista strategico, l’allargamento ai Balcani occidentali (e a tutto il fianco sud-orientale) non è solo una questione di allargamento geografico: si tratta di un investimento fondamentale per la stabilità, la sicurezza e il rafforzamento geopolitico dell’Europa — soprattutto in un contesto internazionale sempre più turbolento.

Cambiare la geografia dell’Unione significa consolidarne l’influenza e i valori in aree che, per storie e fragilità, rappresentano zone sensibili di tensione o di influenza esterna.

La situazione odierna non è semplice, con la Russia che preme alle porte di una Europa che troppo spesso non riesce a mostrare la dovuta compattezza. La risposta dovrebbe proprio essere quella di sostenere ulteriormente queste iniziative regionali che possono dare una spinta decisiva verso un processo di allargamento effettivo e non solo formale. Imperativo divenuto ancora più urgente ora che gli Usa chiedono agli europei con brutale schiettezza di provvedere da soli alla loro sicurezza strategica ed economica.

Allargamento Ue, a che punto siamo? L'analisi dell'amb. Castellaneta

Nei giorni scorsi si è tenuto a Sarajevo un summit congiunto dei quattro forum di dialogo internazionale della regione balcanica – Iai, Ocemn, InCE e RCC. Rafforzare l’integrazione fra i Paesi di quest’area rappresenta, prima ancora che il completamento dei passaggi formali a livello giuridico ed economico richiesti da Bruxelles, un passo essenziale per consentire un avvicinamento reale dell’Europa sud-orientale al resto del continente. L’analisi dell’ambasciatore Giovanni Castellaneta

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