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A Tunisi il primo Forum tunisino per lo sviluppo della medicina sino-africana è in pieno svolgimento. Nei corridoi del Palais des Congrès, più di cinquecento esperti e centotrenta specialisti cinesi dialogano con delegazioni di quindici Paesi africani, mentre il ministro della Salute tunisino, Mustafa Ferjani, insiste sul ruolo della Tunisia come “ponte naturale” tra Pechino e il continente africano.

Affianca la rilevanza del Forum un dato geopolitico: quello dell’utilizzo della sanità come nuovo asse della competizione contemporanea, e di come la Cina sia divenuta, nel tempo, un attore ormai strutturato nel ridisegnare l’architettura sanitaria africana attraverso strumenti di influenza che spaziano dalla cooperazione medica all’acquisizione di dati sensibili.

La presenza

Negli ultimi sessant’anni, Pechino ha inviato nel continente più di ventitremila tra medici e operatori sanitari, trattando oltre duecentotrenta milioni di pazienti e mantenendo oggi una presenza stabile di circa mille sanitari in quarantacinque Paesi africani, secondo dati ufficiali cinesi. Attraverso il Focac e i suoi piani d’azione, la Cina ha consolidato un modello che può contare su oltre centotrenta strutture mediche costruite o co-finanziate in Africa, e quartier generale dell’Africa Cdc ad Addis Abeba finanziato. Il tutto completato da imprese cinesi, una rete crescente di ospedali gemellati e nuovi programmi dedicati alla chirurgia mininvasiva, alla medicina tradizionale e alla “smart medicine”. In questa direzione, il forum tunisino è, di fatto, una vetrina che fotografa l’evoluzione del modello cinese.

In questo scenario, la Tunisia non è un Paese dove la Cina deve costruire da zero il sistema sanitario ma, piuttosto, un contesto dove Pechino potrebbe posizionarsi come partner tecnologico e formativo, sfruttando una sanità relativamente avanzata e un apparato farmaceutico consolidato. Lo dimostrano, in parallelo ai lavori del forum, i workshop organizzati presso l’ospedale Habib Thameur, riguardanti la chirurgia mininvasiva assistita da robot e laser al Tulio, con équipe cinesi impegnate in interventi complessi trasmessi in diretta agli specialisti presenti.

Medical intelligence

Le équipe mediche cinesi hanno costruito negli anni relazioni capillari con popolazioni e strutture sanitarie locali, anche e specialmente nelle aree rurali. In Algeria, per esempio, dove la cooperazione medico-sanitaria con Pechino è datata 1963, più di tremilacinquecento sanitari cinesi hanno lavorato in oltre sessant’anni, trattando ventisette milioni di pazienti. Queste presenze, protratte nel tempo, generano fiducia, legami personali, accesso privilegiato alle dinamiche sociali e al tessuto comunitario. Sono strumenti di soft power molto più efficaci di un memorandum o di un investimento infrastrutturale, perché sedimentano nel rapporto quotidiano tra medico e paziente, nella percezione di una presenza “amica” in territori dove lo Stato, talvolta, è poco visibile.

La medicina, però, offre anche un canale efficace per costruire reti di human intelligence per la raccolta di informazioni su condizioni di vita, percezioni politiche, tensioni etniche e religiose, dinamiche migratorie, fragilità istituzionali.

Esiste poi una dimensione più sensibile e strategica, quella della gestione dei dati sanitari e genetici. Qui, la Cina ha sviluppato uno dei sistemi di screening neonatale più estesi al mondo, con aziende cinesi come Bgi finite al centro di inchieste internazionali per la raccolta di dati genetici tramite test prenatali diffusi globalmente. In parallelo, molti Paesi africani stanno costruendo ora le proprie infrastrutture di raccolta dati sanitari, spesso con supporto esterno. Qui la combinazione tra infrastrutture cinesi, software proprietari, cloud e intelligenza artificiale può aprire, nel medio-lungo periodo, corridoi di scambio dati di cui oggi è difficile misurare l’impatto strategico. La Tunisia, che nel settore sanitario punta alla digitalizzazione, alla cartella clinica elettronica e all’IA applicata alla diagnosi, potrebbe diventare un hub di riferimento in questa fase, specialmente se le soluzioni tecnologiche adottate dovessero provenire da partner cinesi.

Il terreno dei dati e la sovranità delle informazioni

Il punto critico è la governance dei dati sanitari, inclusi, potenzialmente, quelli genetici, ed il possibile sfruttamento di questi come infrastruttura sensibile per la gestione delle informazioni epidemiologiche dell’intero continente. Se a questa struttura si aggiungono hub come Tunisi, centri di chirurgia robotica, programmi di digitalizzazione sanitaria e futuri sistemi di screening neonatale, la sanità diventa un dominio dove la Cina può costruire, senza clamore, un vantaggio strategico difficilmente recuperabile. Il tutto giocando sui tempi lunghi.

Per l’Europa e per l’Italia (tra Piano Mattei, Elmed e Medusa), la Tunisia è un partner fondamentale su migrazione, energia e stabilità regionale. Il Forum al Palais des Congrès è solo l’ultimo dei tasselli di Pechino, che già ha messo gli occhi sulle infrastrutture portuali nordafricane e tunisine, e che utilizza da anni la sanità, tradizionalmente vista come ambito umanitario e neutro, come uno degli strumenti più efficaci per l’accrescimento dei propri database informativi e per l’espansione della propria sfera di influenza su scala globale. Dimostrando la validità della programmazione a lunga distanza e l’efficacia del gioco sui tempi lunghi.

Dati sanitari e cooperazione clinica. La medical intelligence nel disegno africano di Pechino

A Tunisi, il primo Forum tunisino per lo sviluppo della medicina sino-africana mette in mostra l’evoluzione del modello sanitario di Pechino, che attraverso cooperazione clinica, chirurgia robotica, digitalizzazione e un crescente ruolo nella raccolta dei dati, costruisce nel tempo un vantaggio informativo difficilmente recuperabile

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