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Un fine anno decisamente scuro quello della Cina. E meno male che a Pechino erano pronti. Settimane fa, come raccontato da questo giornale, erano arrivate le prime avvisaglie, sotto forma di raffica di dati macroeconomici tutti in frenata. Dalla produzione industriale, agli investimenti immobiliari, fino ai consumi, passando per i prezzi del mattone.

In poco tempo, era scattato l’allarme rosso, con Xi Jinping che aveva convocato una riunione in fretta e furia dei massimi dirigenti del partito, nel tentativo, non ancora disperato, di raddrizzare la barra. Il leader cinese aveva puntato il dito contro l’incapacità dei cinesi di spendere bene e con criterio. Una dura, durissima presa di posizione, che preannunciava misure draconiane per invertire il corso degli eventi. Il fatto è che a Pechino non ne possono più di assistere al declino della spesa, o meglio a una spesa che poco o nulla a che fare con la crescita dell’economia. Ora, appare prematuro capire se e come le misure decise dal governo, a cominciare dalla messa al centro di una spesa produttiva e di qualità, sortiranno il loro effetto. Una cosa, però, è certa. I mercati si sono accorti delle difficoltà del Dragone.

L’occhio dei mercati

Che cosa è successo? Semplice, da quando la Cina ha cominciato a tossire, i principali indici azionari del Dragone hanno cominciato a perdere terreno. Il solo listino Msci China, che rappresenta tutte le società a media capitalizzazione, è sceso del 7,4% da settembre a questa parte, la sua peggiore performance di tre mesi in un anno. “I recenti dati economici deboli provenienti dalla Cina hanno contribuito al raffreddamento del sentiment, evidenziando le sfide strutturali del Paese e la bassa fiducia dei consumatori”, ha dichiarato Wei Li, responsabile degli investimenti multi-asset per la Cina di Bnp Paribas.

C’è un altro dato che deve far riflettere. Il fatto che, mentre in Cina gli investitori hanno punito il governo per il pessimo andamento dell’economia, tra i vicini di casa le cose sono andate decisamente meglio. Il Kospi della Corea del Sud, per esempio, nel medesimo periodo ha guadagnato oltre il 17%, il giapponese Topix è in crescita del 7,8% e il Taiex di Taiwan è aumentato del 7,3%. L’indice indiano Nifty 50 è salito del 5,8%.

Riparte la guerra commerciale?

A innervosire i mercati, però, c’è anche la strisciante guerra commerciale. Congelata, ma solo sulla carta. La prova? Pechino ha annunciato l’introduzione di dazi provvisori fino al 42,7% su una serie di prodotti lattiero-caseari provenienti dall’Unione europea. In una dichiarazione del ministero del Commercio cinese, il governo cinese ha affermato che le sovvenzioni della Ue per i prodotti lattiero-caseari hanno causato “danni sostanziali” all’industria nazionale. I prodotti colpiti dai dazi anti-sovvenzioni includono formaggi freschi e lavorati, nonché alcuni tipi di latte e panna.

L’iniziativa rischia di riaccendere le tensioni sugli scambi commerciali con l’Unione e rientra in un’indagine contro le sovvenzioni avviata da Pechino nell’agosto del 2024. I dazi variano dal 21,9% al 42,7%, con le aziende “che hanno collaborato all’indagine” soggette a dazi del 28,6% e quelle che “non hanno collaborato” soggette all’aliquota massima del 42,7%. Problema: ai cinesi il made in Europe, soprattutto alimentare, piace e anche tanto. Ma forse il governo non lo sa.

Mercati freddi, consumatori sfiduciati. Fine anno horror per la Cina?

Dopo la raffica di dati che hanno conclamato l’anemia di cui è afflitta l’economia cinese, anche a causa del pessimismo del popolo, ora anche i mercati prendono le distanze, con il solo indice delle società a media capitalizzazione che ha perso quasi l’8% in tre mesi. E tornano a spirare i venti di guerra commerciale con l’Europa

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