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Ci riuniamo oggi, in questa Casa della democrazia europea, per celebrare un anniversario solenne e significativo: ottant’anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale in Europa, il conflitto più grande e sanguinoso della storia umana, e la vera ragione per cui è nata la nostra Unione.

Ci riuniamo per ricordare coloro che hanno combattuto e coloro che sono caduti. Onoriamo il loro coraggio, il loro sacrificio e la loro sfida alla tirannia. Ricordiamo affinché gli orrori del capitolo più buio della storia d’Europa non si ripetano mai più.

Hanno combattuto affinché potessimo vivere in pace. Hanno sacrificato la loro vita affinché potessimo vivere in libertà. Hanno rischiato tutto affinché i nostri figli potessero crescere al sicuro. Li ricorderemo per sempre. Ottant’anni fa, in una scuola di mattoni rossi a Reims, a poche ore a ovest di dove ci troviamo ora, la Germania nazista firmò la sua resa incondizionata, ponendo fine alla guerra in Europa.

Il mattino seguente, le armi si erano zittite. A Londra, Parigi e Praga, la gente si riversò nelle strade. Si abbracciarono. Cantarono. Piansero – di gioia, di sollievo, ma anche di dolore. Fu un giorno che molti temevano di non vedere mai. Dopo quasi sei lunghi anni, la guerra in Europa era finalmente finita.

Ma per milioni di persone, la pace arrivò troppo tardi. Decine di milioni di vite erano andate perdute. Tra queste, sei milioni di ebrei. Intere comunità furono cancellate. Intere generazioni spazzate via. Intere città ridotte in cenere. Molti sopravvissuti affrontarono carestia, sfollamento e malattie. Per una generazione, il trauma lasciò il suo segno nel silenzio. Milioni di bambini in tutta Europa sarebbero cresciuti senza un padre. Le loro madri senza un marito. La guerra era finita, ma le ferite erano profonde. E per milioni di persone in tutta Europa, il 1945 non portò la liberazione, ma un nuovo tipo di oppressione. Mentre la morsa di Stalin si stringeva, una cortina di ferro calò sull’Europa, dividendo paesi, famiglie e vite. Per gli abitanti di Varsavia e Riga, Bratislava e Berlino Est, la fine di una lotta segnò l’inizio di un’altra. E ci sarebbero voluti decenni prima che potessero essere veramente liberi.

All’indomani della guerra, l’Europa giaceva in rovina. Ma il suo spirito era intatto. E in tutto il continente, la gente iniziò il silenzioso e dignitoso lavoro di ricostruzione. Non solo con mattoni, ma con speranza. I nomi che rivestono queste stanze e questi corridoi – Schuman e Adenaeur, Spaak e De Gasperi, Churchill e Monnet – erano uomini che avevano vissuto la guerra. Che avevano seppellito fratelli, perso amici e visto città bruciare. Eppure, scelsero la riconciliazione alla vendetta. Scelsero di credere che ex nemici potessero diventare alleati. Quella cooperazione non era una debolezza, ma una necessità.

Dal loro coraggio, nacque una nuova Europa. Un’Europa che ha respinto il veleno del passato e ha osato costruire la pace. Ed è grazie a loro che oggi siamo qui, in un Parlamento di nazioni, di ex nemici diventati amici, uniti da una promessa comune: mai più. Quarant’anni fa, il presidente Ronald Reagan si presentò davanti a questo stesso Parlamento e parlò con profonda ammirazione di ciò che era stato realizzato. Queste furono le sue parole:

“Europa, amata Europa, sei più grande di quanto pensi. Sei il tesoro di secoli di pensiero e cultura occidentale; sei il padre degli ideali occidentali e la madre della fede occidentale. Europa, sei stata la potenza e la gloria dell’Occidente, e sei un successo morale. Negli orrori del secondo dopoguerra, hai respinto il totalitarismo; hai respinto il fascino del nuovo superuomo e di un nuovo comunista; hai dimostrato di essere e di essere un trionfo morale.

Tu, in Occidente, sei un’Europa senza illusioni, un’Europa saldamente ancorata agli ideali e alle tradizioni che ne hanno fatto la grandezza, un’Europa libera e svincolata da un’ideologia fallimentare. Oggi sei una nuova Europa alle soglie di un nuovo secolo, una comunità democratica di cui essere orgogliosa”. Le sue parole non erano solo un riconoscimento di quanta strada l’Europa avesse percorso, ma un invito a proteggere ciò che avevamo costruito.

Abbiamo un profondo debito nei confronti degli uomini e delle donne che hanno reso possibile quella pace. E alcuni di loro sono con noi oggi. È per me il più profondo onore dare il benvenuto a tre uomini straordinari che hanno vissuto quella guerra e che ne portano ancora il ricordo. Sono passati ottant’anni. Ma la storia non è finita. Ancora una volta, la guerra è tornata in Europa. Ancora una volta, le città vengono bombardate. I civili attaccati. Le famiglie distrutte.

Il popolo ucraino sta lottando non solo per la propria terra, ma per la libertà, per la sovranità, per la democrazia. Proprio come un tempo fecero i nostri genitori e i nostri nonni. On. Robert Chot, On. Janusz Komorowski, On. Janusz Maksymowicz. A voi, e a tutti coloro che non sono qui oggi, diciamo semplicemente: grazie.

Il vostro coraggio ha illuminato l’ora più buia dell’Europa. Avete rischiato la vita affinché noi potessimo vivere la nostra. Avete scelto di resistere. Avete scelto di sperare. E non lo dimenticheremo mai. Questo Parlamento sarà sempre al fianco di coloro che cercano la pace, contro coloro che la distruggono. Per la libertà e contro la tirannia. Il compito che ci attende oggi è lo stesso di allora:

Onorare la memoria.Proteggere la democrazia. Preservare la pace. Una pace giusta, reale e duratura.

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