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Il dato più eclatante è senz’altro quello francese. Non tanto per gli equilibri della nuova ipotetica maggioranza che andrà a determinarsi al Parlamento Europeo, quanto più per i pesanti riflessi interni. Il grande sconfitto di queste Europee è l’inquilino dell’Eliseo, Emmanuel Macron. Il suo partito, Reinassence, si ferma al 15%. Una percentuale più che raddoppiata dal Rassemblement National di Marine Le Pen e Jordan Bardella che si attesta oltre il 30%. Il presidente francese ha deciso di sciogliere le camere e di indire nuove elezioni a fine giugno. “Un fatto davvero epocale per la Francia e per l’Europa”, commenta a caldo su Formiche.net Jean-Pierre Darnis, professore di Storia contemporanea alla Luiss di Roma e di Storia delle relazioni italo-francesi all’Università di Nizza.

Che cosa può accadere ora?

La portata dell’evento è davvero epocale. A questo punto si può determinare la situazione nella quale il RN diventi il primo partito in Francia e si affermi alle elezioni politiche volute da Macron. A questo punto, si potrebbero aprire una serie di scenari. La situazione più complessa, ma anche più probabile alla luce di questa affermazione del partito di Le Pen è che si possa arrivare a una coabitazione di Macron all’Eliseo e di un presidente del Consiglio, a capo dell’esecutivo, di un colore diverso.

Non è immaginabile un accordo elettorale tra Macron e alcune forze di sinistra? I socialisti sembrano in ripresa. 

Dopo il primo turno di votazioni è probabile che Reinassence tenti un accordo con i socialisti che, obiettivamente, anche in virtù della buona campagna elettorale che hanno fatto, hanno avuto una buona affermazione a questo appuntamento elettorale.

Al di là delle prospettive di scenario, che tipo di segnale arriva all’Europa dalla Francia?

Un segnale che fa tremare i polsi. Perché consegna l’immagine di un Paese come la Francia in una situazione di profonda instabilità. Benché, paradossalmente, gli attuali assetti della maggioranza europea non subiranno alcun cambiamento sostanziale salvo qualche lieve ridimensionamento ad esempio per quanto riguarda la presenza dei macronisti nel gruppo.

La sconfitta è tutta di Macron?

Sì. Il suo partito al 15% e il RN che si afferma oltre il 30% è un segnale inequivocabile contro Macron. Ma d’altra parte c’erano già da tempo segnali di impopolarità del presidente francese e del modello di politica che incarna. Tra le altre cose, il presidente non ha voluto “lasciare spazio” ad altri, come invece avrebbe potuto fare con il giovane presidente del Consiglio, Attal.

In questa crescente impopolarità, quanto ha inciso la linea tenuta in politica estera? Penso alle esternazioni su Nato e Ucraina ad esempio. 

Poco e niente. Questo risultato elettorale è tutto da leggere in chiave interna. È un segnale che i francesi hanno dato al loro presidente e alle sue politiche. L’insicurezza nelle città, legata a doppio filo con la questione migratoria, i frequenti episodi di violenza. Tutto questo ha determinato la sconfitta. Non la politica estera. Anzi, paradossalmente alcune posizioni assunte da Macron possono averlo in qualche misura agevolato, contenendo qualche perdita.

Prevede che ci sarà un effetto traino di questo risultato anche in altri Paesi in cui i partiti di destra stanno affermandosi?

Ma certo. Ci sarà senz’altro un effetto traino e quello del Rassemblement National sarà un esempio che altri proveranno a seguire. Fermo rimanendo che, questo successo del partito francese, potrà anche tradursi in un riposizionamento a livello europeo. E penso in particolare all’avvicinamento Meloni-Le Pen che si è registrato anche nell’ambito dell’ultima convention di Vox.

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Il partito del presidente francese si ferma al 15%, mentre il Rassemblement National super la soglia del 30. Un’affermazione robusta, che induce Macron a sciogliere le camere e a convocare nuove elezioni a fine giugno. Questo potrà portare a una difficile coabitazione. Ora il Paese agli occhi dell’Europa si presenta come instabile e l’esempio del Rn sarà un traino per altri partiti di destra in Ue. Conversazione con il politologo Jean-Pierre Darnis

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