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Non cadiamo nell’errore di dare un’interpretazione definitiva all’uscita di Donald Trump sulla guerra in Ucraina: “Putin trovi subito un accordo o ci saranno sanzioni”. Rientra nella logica di un Presidente degli Stati Uniti appena insediatosi che attraverso ordini esecutivi a raffica annuncia  il ritorno dei fasti della prima superpotenza mondiale. Una modalità che Trump terrà a portata di mano nei dialoghi che dovrà imbastire con Vladimir Putin, caricando sul leader del Cremlino l’eventuale responsabilità di un mancato accordo di fine guerra. E’ in gioco la promessa fatta in campagna elettorale di chiudere il conflitto russo-ucraino in pochi giorni.

Trump ha già segnato sul calendario 30 aprile 2025. Il limite ultimo per siglare la pace, anche con la forza, ha detto il Presidente americano. ‘Pace con la forza’ di stampo trumpiano non vuol dire ‘pace giusta’ centrata nel Vecchio Continente (si legga in proposito quello che pensano del conflitto russo-ucraino due stretti collaboratori di Trump, Musk e Bannon). L’abbiamo già ampiamente scritto su formiche.net, la pace giusta è un’ulteriore illusione, non esiste nelle trattative impregnate di realpolitik di Trump. Lascerei da parte pure il percorso post bellico (sul quale gli Stati Uniti vorranno trarre vantaggi sostanziosi) disegnato da Zelensky, che rientrerà invece nel blocco delle trattative con Putin, dall’utilizzo, per la ricostruzione, delle rimesse russe congelate (e un ritorno parziale in Russia della proprietà dei patrimoni bancari bloccati in Occidente) e la riduzione della morsa delle sanzioni verso Mosca.

Il mondo è in fase  di ricomposizione geopolitica – geoeconomica, e Trump favorirà questo processo, dove il gioco dei blocchi e delle zone d’influenza sarà la killer application che scivolerà via sui tavoli delle generali trattative. D’altronde la politica dei dazi verso ovunque non è altro che un modo vecchio come il cucco (in ampio uso anche durante il quadriennale di Biden, si pensi al blocco americano alla riforma del Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio) per tracciare al meglio un posizionamento sul mercato e scegliersi gli eventuali ‘nemici’. E’ un neo sovranismo autarchico, accentuato dopo la guerra in Ucraina, che sta riscrivendo mappe e relazioni nel mondo. Rispetto le quali l’Europa non avrà gran voce per mancanza di ruolo, di leadership, con gli stati traino nella morsa dell’imprevedibilità politica ed economica.

Trump ha in mente una pace America First  (slogan coniato cent’anni fa dal Presidente Democratico Woodrow Wilson che riuscì a farsi rieleggere  promettendo di mettere al primo posto l’America avendo come riferimento proprio la Guerra che dal 1914 si stava svolgendo in Europa). Che vuol dire mutuare il principio della Guerra Fredda di lontana memoria. Un equilibrio che sanciva una chiara divisione del mondo allora tra due, Stati Uniti e Unione Sovietica, oggi con più paesi, in primis la Cina, poi India e Turchia. Guarda caso alcune nazioni che nella loro storia sono state ‘Impero’. Obiettivi degli imperi che si muovono sulla scena mondiale sono le dirette conquiste territoriali, da un lato, e l’affermazione di zone d’influenza di tipo neo coloniale. Per capire queste dinamiche gioverà tornare alla lettura dei classici come, ad esempio, L’imperialismo tedesco alla fine del secolo XIX, di A. S. Ierusalimski, ponderosa opera che ben descrive l’intreccio di interessi economici e finanziari alla base delle politiche espansioniste (allora) di Germania e Inghilterra, e la rivalità tra le due potenze che portò alla prima e alla seconda guerra mondiale. Basterà, per aggiornare il quadro, sostituire alle potenze ormai decadute gli attori che ora si muovono sulla scena mondiale: Usa, Russia e Cina (e, nel suo piccolo, Israele, che pur sta dimostrando di perseguire obiettivi di espansione territoriale, a Gaza e in Cisgiordania).

E Trump in questo scacchiere in rapido movimento guarda agli interessi della Real Casa Bianca. Nella vicenda Ucraina scruterà i vantaggi economici e politici, se tu dai una cosa a me io poi do una cosa a te. Una trattativa che alla base avrà un fermo macchine della guerra. Non allargandosi oltre.  E’ una necessità che sente fuori misura Mosca. Anche se lo maschera con orgoglio. Si tratta di trovare una via d’uscita onorevole per Putin. E per Zelensky. Non sarà una passeggiata. Lo vediamo in questi giorni di tregua in Medio Oriente. Un equilibrio sopra la follia. Fragilissimo. Il contesto europeo che circonda il conflitto russo-ucraino, dove c’è la Nato, ha contorni differenti ma sempre nel solco dei vari attori che devono difendere la faccia. Europa compresa che finora godeva dell’andatura di Biden, ma ora si trova a non capire bene la direzione da prendere. Sicuramente qualche dubbio a Trump sarà insorto nel leggere la dichiarazione di Rutte, segretario generale della Nato, sul “Prolungare la guerra per far vincere l’Ucraina” che si discosta molto dalle visioni dell’inquilino della Casa Bianca.

E per quanto riguarda l’Ucraina Trump ha ben presente che il futuro non vedrà Zelensky sulla tolda di comando. Per diversi motivi. Il primo, evidente, è che non gode più del consenso popolare, la gente è stanca e vuole che si arrivi alla pace al più presto a qualsiasi prezzo. Inoltre, l’estenuante guerra di questi anni ha distrutto un Paese, mietuto migliaia di vittime, smobilitato la giovane generazione ucraina senza vincere la guerra, per che cosa allora? Con quali risultati? Si spiega così il suo sbracciarsi di ragioni che gli permettano di uscire dal vicolo cieco in cui si trova. Senza dimenticare che la  carica di Presidente dell’Ucraina è scaduta da molto e occorre appena possibile indire nuove elezioni e riammettere in gioco quegli undici partiti banditi fuori legge.

La fine della guerra in Ucraina sarà all'insegna dell'America First. L’opinione di Guandalini

Il neo presidente degli Stati Uniti ha iniziato a occuparsi del conflitto tra Mosca e Kyiv con una sparata delle sue. Caricando su Putin le responsabilità di trovare un accordo. È solo l’inizio di un posizionamento tattico. Anche in vista di un incontro faccia a faccia. Senza intermediari. In una logica di rimescolamento delle mappe della geopolitica e della geoeconomia.  L’opinione di Maurizio Guandalini

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