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L’esame parlamentare del disegno di legge di riforma della legittima difesa ha subito un rinvio “tecnico”, secondo le parole del ministro Giulia Bongiorno. Le polemiche in atto tra il ministro dell’Interno Salvini e il presidente dell’Associazione Nazionale magistrati Francesco Minisci, unite alle perplessità che sono emerse nell’ambito 5 Stelle, fanno pensare che il rinvio non sia solo tecnico. In attesa di un chiarimento, vediamo di capire quali sono gli elementi principali di contrasto. Il presidente della Anm ha avanzato varie critiche al testo di del progetto di legge.

La legittima difesa è una fondamentale causa di esclusione del reato, ma non può essere regolamentata in maniera diversa da altre cause scriminanti (in particolare esercizio del diritto, adempimento del dovere e stato di necessità), perché tutte le scriminanti hanno “pari dignità”. L’affermazione di principio del presidente della Anm è corretta ma appare anche possibile che il legislatore, in conformità alla Costituzione, operi una regolamentazione diversa delle cause di esclusione del reato, non lesiva della “dignità” delle differenti cause di esclusione del reato.

La tutela rafforzata della casa e del luogo di lavoro, ai fini della legittima difesa, è già presente nell’ordinamento e non necessita di ulteriori interventi. Anche in questo caso, si tratta di una valutazione sostanzialmente politica, come tale opinabile.

È necessario mantenere un criterio di proporzionalità e ragionevolezza nell’applicazione dell’istituto, per evitare una presunzione di legittima difesa senza limiti, potenzialmente idonea a legittimare gravi reati. Va considerato che la riforma pone limiti alla presunzione di operatività della scriminante e prevede elementi di proporzionalità tra offesa e difesa: si deve trattare di un’intrusione violenta o con minaccia offensiva nei luoghi di vita, riconducibile a un rapporto di proporzionalità, tra offesa e difesa, predeterminato dalla legge e spostato a favore dell’aggredito. Si può ritenere giusto o sbagliato ritenere che la difesa nei luoghi di vita sia sempre legittima e considerare proporzionata o abnorme una reazione armata contro un’intrusione violenta in casa o sul lavoro, senza riferimenti espliciti all’offesa in atto per l’incolumità dell’aggredito, ma si tratta di valutazioni politiche. Lo snodo è il valore che si attribuisce al rischio per l’incolumità dell’aggredito, e non solo alla difesa dell’incolumità da un’offesa in atto.

Nel momento in cui si ammette la legittima difesa per “respingere un’intrusione”, si consente di agire in una fase precedente all’intrusione e anche a una distanza significativa tra aggressore e aggredito. L’osservazione appare opinabile: in una logica difensiva, risulta ragionevole operare per evitare che un’intrusione violenta abbia corso, respingendola sin dal momento in cui ha inizio, senza aspettare che giunga a fase avanzata o a compimento; e la distanza non appare elemento determinante, perché le esigenze difensive dell’aggredito possono richiedere reazione non solo in situazioni di immediata prossimità.

È sbagliata la modifica di legge per cui il rapporto di proporzionalità tra difesa e offesa per aggressioni in casa o sul lavoro sussiste “sempre”. In effetti, prevedere che il rapporto di proporzionalità operi “sempre”, a condizione però del verificarsi di alcune condizioni, significa che il giudice dovrà riconoscere “sempre” la proporzionalità, ma solo “se” sia in gioco l’incolumità personale oppure se non vi sia desistenza e vi sia rischio di aggressione, cioè si troverà nella situazione precedente.

La riforma introduce dei criteri di applicazione dell’eccesso colposo di legittima difesa che non si applicano alle altre scriminanti dell’ordinamento, introducendo una differenziazione con problematici profili costituzionali. Inoltre, si fa riferimento alla situazione di “grave turbamento” del soggetto minacciato, introducendo un elemento metagiuridico e non giuridico, basato su una problematica analisi a posteriori dei fatti e della soggettività dell’aggredito; e si introduce un riferimento a “mezzi di coazione fisica” usati dall’aggressore, che risulta problematico da definire. In verità, differenti regolamentazioni delle cause di esclusione del reato possono rientrare nel margine di discrezionalità politica del legislatore, senza evidenti profili di incostituzionalità; e i problemi interpretativi sui termini utilizzati non appaiono dissimili da quelli che affrontano quotidianamente gli operatori del diritto.

Non ci possono essere automatismi nell’applicazione della legittima difesa, perché è sempre necessario un procedimento penale per accertare i fatti, in prospettiva di un’archiviazione o di un processo. L’affermazione risulta corretta, sia in termini sostanziali che procedurali. Con la speranza che i procedimenti penali sulla nuova legittima difesa non divengano occasione per polemiche sull’interpretazione delle norme a favore di una particolare concezione dell’istituto.

Giulia Bongiorno legittima

La legittima difesa sotto assedio

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