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È partita a tutta birra la ministeriale Difesa della Nato, a cui partecipa oggi e domani anche Elisabetta Trenta. Ieri, il vertice è stato anticipato dalla minaccia statunitense di contromisure rispetto al programma missilistico russo. Oggi, nuovi segnali di sfida al Cremlino sono arrivati dal segretario generale dell’Alleanza Jens Stoltenberg. Al ministro della Difesa italiano spetta dunque l’arduo compito di ribadire la necessità di rivolgere attenzione anche al fianco sud e alle minacce che imperversano nel Mediterraneo, un’esigenza su cui l’Italia sta da tempo richiamando all’ordine gli alleati.

LA QUESTIONE DEL BURDEN SHARING

Comunque, al primo posto dell’agenda c’è, ancora una volta, il tema del burden sharing, ovvero l’impegno a spendere (entro il 2024) il 2% del Pil nella Difesa. A luglio, il tema fece discutere Donald Trump con i colleghi del Vecchio continente, gettando sul summit un clamore che riuscì a oscurare rilevanti decisioni strategiche e operative. Ad ogni modo, “negli ultimi due anni gli alleati europei e il Canada hanno speso nel complesso 41 miliardi di dollari in più”, ha detto Stoltenberg aprendo i lavori e cercando di evitare nuovi discussioni sul tema. Certo, ha aggiunto, resta “il senso di urgenza di investire il 2% del Pil in difesa e di avere piani nazionali credibili per arrivarci”. L’invito riguarda anche il nostro Paese, che spende circa l’1,15% del proprio Pil nel settore.

LE DECISIONI OPERATIVE

Sul tavolo dell’incontro tra i ministri della Difesa ci sono poi i passi da compiere per mettere in atto le novità introdotte proprie dall’ultimo vertice dei capi di Stato e di governo. Tra queste, la nuova struttura di comando, che si doterà di ulteriori 1.200 unità e di due nuovi comandi con competenza su due nuovi comandi dedicati all’Atlantico (a Norfolk, in Virginia) e alla mobilità militare (a Ulm, in Germania). In agenda è prevista anche una maggiore definizione della “Readiness initiative”: avere a disposizione, entro il 2020, 30 battaglioni meccanizzati, 30 gruppi aerei e 30 navi da guerra in grado di essere operativi in 30 giorni.

I MESSAGGI A MOSCA

Tutto questo rientra nel “focus” annunciato da Stoltenberg su “deterrenza e difesa”, una proiezione che continua a vedere nella Russia il suo primo destinatario. In tal senso, si attende anche un meeting del Nuclear Planning Group, finalizzato “a mantenere il deterrente nucleare della Nato sicuro ed efficace”. Il segretario generale ha poi annunciato che i ministri parleranno anche delle preoccupazioni riguardanti “le violazioni della Russia al trattato Inf”. Quest’ultimo aspetto fa l’eco alle accuse mosse ieri dalla rappresentante permanente degli Usa Kay Bailey Hutchison, che ha addirittura minacciato contromisure (fino all’eliminazione dei missili russi) nel caso in cui Mosca non interrompa lo sviluppo di armamenti a raggio intermedio capaci di portare testate nucleari. Le rimostranze riguardano il trattato siglato nel 1987 da Stati Uniti e Unione Sovietica, che proibisce esplicitamente il dispiegamento a terra di missili con un raggio fra 500 e 5.500 chilometri. La logica delle accuse e contro-accuse con Mosca va avanti da ormai un paio d’anni (qui un approfondimento sul tema), con Washington che cerca di coinvolgere (riuscendoci) anche la Nato sull’argomento, nonostante l’Inf sia un trattato bilaterale. Ciò dimostra che la Russia resta in cima alle priorità dell’Alleanza.

IL FRONTE SUD…

Eppure, ci ha spiegato il generale Leonardo Tricarico, presidente della Fondazione Icsa e già capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, “è ora che questa sistematica e insistente politica di mettere a punto un’avversità organizzata verso Mosca e di mantenere ben robusto l’asse est-ovest della Nato, senza curarsi delle vere direttrici della minaccia, sia oggetto di una più attenta riflessione”. Il rischio è di dimenticarsi delle preoccupazioni degli alleati meridionali. E infatti è finita in fondo all’agenda del vertice di Bruxelles “la risposta all’instabilità nel fronte sud”. Su questo, l’Italia è da tempo a lavoro per portarla in cima alle priorità dell’Alleanza, un compito che il ministro Trenta ha da subito assunto con decisione, già nella ministeriale di fine maggio, quella che fu un battesimo del fuoco a pochi giorni dall’insediamento del governo. Ad ogni modo, la Nato sta procedendo nella definizione della nuova missione training in Iraq, che “includerà più di 500 unità e aiuterà il Paese a preservare quanto conquistato dalla coalizione globale anti-Daesh”.

… E LA COLLABORAZIONE CON L’UE

Poi, domani, il vertice prevede un incontro con l’Alto rappresentante Federica Mogherini, da cui gli alleati attendono le novità in tema di Difesa europea. Lo scorso giugno, da Bruxelles è arrivata la proposta di un Fondo ad hoc da 13 miliardi di euro per il periodo 2021-2027, con la fase iniziale che è già partita attraverso l’Azione preparatoria per la ricerca e il Programma di sviluppo industriale. Tutto questo, come ribadito sin dalla presentazione della Global Strategy dell’Ue nel 2016, dovrà procedere in complementarietà con la Nato. Non caso, proprio la collaborazione tra le due organizzazioni è stata considerata dalla Mogherini come un pilastro della Difesa comune europea, concetto inevitabile per convincere i Paesi membri più restii (soprattutto quelli dell’est) a sostenere un progetto che potrebbe apparire duplicativo rispetto all’Alleanza Atlantica. Tutto questo è ribadito nella due-giorni di Bruxelles, e lo ha ricordato anche Stoltenberg: “Fatti nel giusto modo, gli sforzi dell’Ue possono contribuire a un più equo burden sharing tra Europa e Nord America”.

IL NODO MACEDONE

Circa la cosiddetta “open door policy” (espressione con cui si intende l’allargamento della membership, soprattutto verso i Balcani) pesa ancora il recente risultato del referendum in Macedonia sul cambio del nome. Il mancato raggiungimento del quorum complica, infatti, il processo di adesione di Skopje all’Alleanza, vincolato al veto posto dalla Grecia. Tanto nella Nato, quanto nell’Unione europea, Atena non è disposta ad accettare un nuovo “alleato” o “membro” che sia omonimo di una sua regione, questione legata a una storica diatriba di carattere politico, culturale ed etnico. La Nato comunque non molla. Nel recente comunicato, scritto a quattro mani con il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, Stoltenberg ha invitato i politici macedoni “a decidere sulla strada da intraprendere”, invitandoli a cogliere “l’incredibile opportunità” emersa dall’accordo di quest’estate con la Grecia.

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