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È un’Italia con il fiato sospeso, in attesa del grande responso. Cosa succederà tra oggi e domani? Quale sarà l’esito del duro scontro che contrappone soprattutto i 5 stelle al ministro dell’economia Giovanni Tria? Un conflitto che costringe la stessa Lega, che ne avrebbe fatto volentieri a meno, ad intervenire nella contesa, nel tentativo di limitare il danno. Come se ne uscirà è difficile prevedere. Meglio allora ricondurre il tutto nell’alveo di quello che sono le prerogative costituzionali dei diversi protagonisti.

Crediamo che nessuno possa chiedere al ministro Tria di venir meno alle sue più profonde convinzioni, né, tanto meno, di taroccare i conti. La sua responsabilità è quello di indicare un deficit programmatico realistico, che tenga conto delle reali condizioni del Paese: nei suoi diversi aspetti. A partire da quelli più immediati. Il quadro macro-economico, con un tasso di crescita declinante. Un equilibrio finanziario estremamente precario sia sul fronte del deficit che su quello del debito. Il dovere di garantire il finanziamento delle future emissioni dei titoli di stato, per un valore di circa 400 miliardi nel prossimo anno.

E quelli di medio periodo. La necessità di evitare l’insorgere di drammatici problemi sul fronte bancario, che hanno in pancia titoli di stato per un valore pari a 387 miliardi. Se gli spread dovessero superare il livello di guardia, sarebbero costrette a raccogliere nuovi capitali, in un mercato sempre più difficile, per adeguare i loro coefficienti patrimoniali alle regole della Bce. A meno che non si voglia mandare tutto al diavolo, con l’idea di uscire dell’euro. Nel frattempo, tuttavia, il credito alle imprese avrà subito un forte contenimento. Si calcola che quei primi 100 punti base di aumento siano già costati alle aziende uno 0,20 per cento in più sui tassi di interesse praticati. Ma non ci si illuda. Il rapporto andamento “spread – tassi d’interesse passivi per le imprese” non è lineare, ma esponenziale.

Ai leader delle due principali forze politiche spetta invece il compito di meditare attentamente sulle conseguenze delle proprie azioni. Pensare che basti aumentare il deficit per avere un tasso di crescita maggiore è solo una pericolosa illusione. Il telaio delle interdipendenze economiche – finanziarie è molto più complesso. Un peso determinante lo hanno le aspettative che, a loro volta, si basano su elementi oggettivi. Se il finanziamento dell’attività direttamente produttiva diventa più difficile, non vi sarà maggiore, ma minore sviluppo. E lo stesso proposito di combattere la povertà – il sogno dei 5 stelle – con il reddito di cittadinanza si trasformerà in un incubo. Con una domanda di lavoro in caduta libera, che li obbligherà a trovare maggiori risorse per garantire il sussidio.

Spetterà comunque al Consiglio dei ministri, nella sua collegialità, decidere quale politica seguire. Dovrà valutare le proposte del ministro dell’Economia. E se lo riterrà necessario, modificarle. Ma assumendone pienamente la responsabilità. Poi ogni singolo ministro deciderà come comportarsi. Dovrà essere soprattutto il presidente del Consiglio, cui spetta ai sensi dell’articolo 95 della Costituzione, il compito di dirigere la politica del Governo a dirimere la matassa. Tenendo conto della circostanza che le relative decisioni dovranno poi essere difese non solo in Parlamento, ma, cosa ben più difficile, a livello europeo, nel rispetto dei relativi Trattati. Trattativa tutt’altro che semplice, se gli avvenimenti dovesse assumere una piega ancor più drammatica.

La speranza è che ciascuno abbia la consapevolezza dei rischi impliciti in eventuali decisioni esagerate, in contrasto con il principio di realtà. I segnali che provengono da più parti sono inequivocabili e debbono essere correttamente interpretati. Gli ultimi indicatori di borsa non lasciano dubbi. Ieri il Ftse-mib ha avuto un andamento piatto, ma i principali titoli bancari hanno subito perdite consistenti. Che, in apertura, sono ulteriormente lievitate. In due giorni, Banca Intesa e Unicredit hanno perso oltre il 4 per cento, sebbene sul fronte degli spread si assista ad una relativa calma, con una crescita ancora contenuta. Ma le attese dei grandi Fondi d’investimento potrebbero andare deluse ed allora le vendite di titoli italiani diverrebbero consistenti.

Attenti quindi a non prendere sotto gamba l’ultimo avvertimento di Standard & Poor’s. “Il bilancio dell’Italia continuerà ad attirare l’attenzione dei mercati finché non verrà approvato”. Nello stesso documento (Euro weakness in not over yet) il tasso di crescita dell’economia italiana è indicato a ribasso, seguendo le orme dell’Ocse, che già aveva sollevato l’ira, per fortuna poco funesta, del prode Di Maio. Può essere un assaggio del piatto più forte che sarà servito a fine ottobre, quando entrambe le agenzie di rating – Standard & Poor’s e Moody’s – daranno le pagelle sul merito di credito dei titoli italiani. Scendere di un ulteriore gradino nella valutazione, può significare il passaggio dal purgatorio all’inferno. Con i titoli italiani declassati a yuk bond (titoli spazzatura), che non potranno più essere acquistati dalla Bce o utilizzati come collaterale da parte delle banche italiane nelle operazioni di rifinanziamento, presso le altre istituzioni europee. Un salto nel buio che non ha precedenti.

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