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È sempre stato il generatore di corrente dell’intera Russia. Gazprom è, in tutto e per tutto, la longa manu del Cremlino oltre a essere la principale azienda del Paese. Eppure, da quando Vladimir Putin, che di fatto ne è azionista, ha deciso di invadere l’Ucraina, quell’aurea di invincibilità e potenza si è piano piano spenta. Perché? La reazione dell’Occidente all’aggressione russa ha partorito, tra le altre cose, l’embargo del fianco orientale dell’Europa (anche sul petrolio), con conseguente interruzione delle forniture dalla Russia. L’Ue, a parte il brivido iniziale di rimanere al freddo, ha saputo attrezzarsi: i Paesi europei hanno trovato fonti alternative di gas, tanto che la quota della Russia sulle importazioni di gas in Europa è scesa dal 40% nel 2021, l’ultimo anno intero prima dell’invasione, all’8% nel 2023.

I problemi semmai li ha avuti Gazprom. Lo scorso anno, il gigante energetico russo ha registrato una perdita di 629 miliardi di rubli (pari a 6,9 miliardi di dollari), la peggiore degli ultimi decenni. I ricavi di sono così diminuiti di quasi il 30% su base annua a 8,5 trilioni di rubli, con le vendite di gas che sono scese da 6,5 trilioni di rubli nel 2022 a 3,1 trilioni di rubli. Fin qui, la situazione attuale. Tuttavia, emerge un quadro più complesso per il gigante del gas russo, con il suo destino strettamente connesso all’Ucraina, la cui invasione ha contribuito alla crisi di Gazprom.

Un rapporto pubblicato dal Center for european policy analysis, spiega infatti come l’utilizzo dei gasdotti ucraini da parte di Gazprom, sia di fatto un cappio intorno al collo dell’azienda, soprattutto da quando due settimane fa le forze armate di Kiev hanno sequestrato la stazione di misurazione del gas di Sudzha, nella regione russa di Kursk, l’unica via rimasta per fornire la residua quota di gas direttamente all’Europa ed è diventata ancora più cruciale dopo che i gasdotti Yamal e Nord Stream 1 hanno cessato le operazioni nel 2022. “Attualmente”, si legge nel rapporto, “il flusso di gas attraverso Sudzha è di 40-42 milioni di metri cubi al giorno, il che lo rende un anello indispensabile nella catena delle esportazioni di gas russo verso l’Europa”.

Ora, “data la sua importanza, la mancanza di controllo su Sudzha introduce rischi sostanziali per l’azienda. Gazprom ora non ha alcuna supervisione della stazione di misurazione in cui viene misurato il flusso di gas, creando il rischio di interferenze di terze parti con le apparecchiature di misurazione e impedendo al personale Gazprom di eseguire le procedure di manutenzione standard. In breve, Gazprom non può più fidarsi del sistema che dimostra e dettaglia gran parte delle sue esportazioni e quindi dei suoi ricavi”.

La posta in gioco è alta, altissima e il motivo è presto spiegato. Nei primi sei mesi del 2024, Gazprom ha registrato una perdita di 0,5 trilioni di rubli (5,4 miliardi di dollari) ed è per questo che mantenere i 5 miliardi di dollari all’anno, tanto valgono ancora le entrate dalle vendite di gas all’Unione europea, diventa così fondamentale per il suo bilancio. In sintesi, Gazprom si trova in una situazione delicata, “poiché le infrastrutture sotto il controllo ucraino sono essenziali per il colosso russo”.

Certo, ci sono sempre i cosiddetti Paesi amici su cui contare. Ma viene da chiedersi se sia sufficiente. “Al di fuori della Russia”, si legge ancora, “i principali destinatari sono Slovacchia, Austria, oltre alla regione separatista della Transnistria, dove senza la fornitura di gas gratuito, la reintegrazione di questa regione con la Moldavia potrebbe diventare possibile. Mentre l’Ungheria riceve una quota indirettamente tramite il gasdotto Turkstream dal 2021. Il Cremlino ha bisogno di Gazprom per mantenere le forniture alla Slovacchia e all’Ungheria, dove offre gas più economico come contropartita ai governi politicamente favorevoli. Questo è un elemento centrale della politica estera russa, che cerca di dividere l’Ue e bloccare il sostegno militare e finanziario all’Ucraina”.

E la Cina? Anche qui nulla è scontato. Sebbene Gazprom speri che un nuovo gasdotto verso il Dragone possa contribuire a compensare la perdita dei volumi di esportazioni europee, la sua capacità sarà di soli 50 miliardi di metri cubi all’anno e i prezzi di vendita del gas a Pechino sono molto più bassi rispetto a quelli europei. Inoltre l’infrastruttura deve ancora essere realizzata.

 

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