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Ieri sono stati premiati col Nobel per l’economia William Nordhaus e Paul Romer. Due economisti, lo sottolinea unanime la stampa mondiale, che avrebbero contribuito, con i loro studi pionieristici, ad orientare l’economia verso un cammino sostenibile.

Romer attraverso i contributi alla teoria della crescita endogena, che hanno messo in evidenza il ruolo decisivo del capitale umano nei processi di crescita.

Nordhaus per gli studi sull’economia dei cambiamenti climatici e dell’energia, fornendo (questo affermano unanimi le testate giornalistiche) degli strumenti di analisi e di policy volti ad arrestarli. Un Nobel, quello soprattutto a Nordhaus, che avrebbe un sapore “politico”, visto che l’America di Trump si è sottratta agli impegni internazionali sottoscritti negli Accordi di Parigi.

Non conosco l’intera opera di Nordhaus e sarò ben lieto di venire smentito da chi la conosce più approfonditamente di me, ma conosco molto bene alcuni suoi scritti degli anni Settanta e non riesco a capacitarmi di come sia potuto diventare il paladino degli ecologisti.

Fra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta l’economia diventa finalmente consapevole che viviamo in una specie di grande navicella spaziale, la Terra, e che il genere umano è un’unica comunità di destino (è del 1966 The Economics of the Coming Spaceship Earth di Kenneth Boulding). Nel gennaio 1972 appariva su The Ecologist un Manifesto sottoscritto da autorevoli economisti che metteva in guardia il genere umano dai rischi derivanti da un crescente inquinamento e dall’esaurimento progressivo delle risorse. Nello stesso anno, il Club di Roma pubblicava il celeberrimo The Limits to Growth (I limiti alla crescita), un rapporto che sottolineava le stesse problematiche. Lo shock petrolifero del 1973 fece il resto, portando il problema dell’esauribilità delle risorse all’attenzione del grande pubblico.

Gli economisti mainstream, accusati nel 1972 dall’economista inglese Wilfred Beckerman (“Economisti, scienziati e la catastrofe ambientale”, Oxford Economic papers) di essere i maggiori responsabili dell’uso eccessivo ed incontrollato delle risorse nel mondo, non potevano stare a guardare. Infatti intervennero nel dibattito; pesantemente.

Il primo fu proprio Nordhaus, con un articolo del 1973 su “L’allocazione delle risorse energetiche” che, riprendendo un modello di Hotelling degli anni Trenta, ragionava in questo modo: il mercato è perfettamente in grado di gestire situazioni di scarsità di risorse, perché quando una risorsa diventa scarsa il suo prezzo aumenta, rendendo più conveniente investire in ricerca e sviluppo al fine di individuare fonti energetiche sempre nuove, fino a quando sarà trovata una backstop technology (una fonte energetica a prezzo zero, al tempo si aveva in mente la fusione nucleare, che utilizza idrogeno e non genera scorie) che risolverà ogni problema di scarsità. Nessuna preoccupazione, quindi, per il fatto che la scarsità di energia potesse diventare un vincolo alla crescita. Una previsione che si è dimostrata sostanzialmente corretta, ma che non tiene conto dei problemi connessi a risorse non riproducibili, ed al fatto che non tutti gli input produttivi risultano perfettamente sostituibili, scontrandosi con problemi di scarsità assoluta e non relativa. Una previsione che ha innegabilmente permesso di continuare a produrre con le logiche di mercato, piuttosto che con quelle della sensibilità ambientale (tanto ci pensa il mercato a risolvere tutto)…

Non c’è che dire, un bell’esempio di lotta contro i cambiamenti climatici…

L’articolo di Nordhaus scatenò un fuoco di appoggio alle sue tesi nel 1974, quando sulla Review of Economic Studies furono raccolti articoli in un Symposium on the Economics of Exhaustible Resources, seguito l’anno seguente da altri autorevoli contributi pubblicati sulla prestigiosa American Economic Review. Tutti immancabilmente ottimisti sull’inesauribilità delle prospettive di crescita.

Naturalmente, per accelerare il percorso verso gli incentivi economici alla ricerca di fonti alternative (e per assicurare nel frattempo una crescita non vincolata dalla disponibilità delle risorse, o dalle esternalità da esse immesse nell’ambiente, come l’inquinamento) si potevano immaginare dei permessi di negoziazione delle emissioni dannose: l’inquinamento non si può fermare (perché bloccherebbe la crescita), ma almeno si può far pagare chi inquina per poterlo fare. Ed è infatti quello che suggerì Nordhaus alla fine degli anni Settanta.

Mi fermo qui, per pudore. Nordhaus è stato sicuramente un economista accademico brillante e per certi aspetti geniale. Come lo è stato sicuramente Romer. Una decisione per il Nobel quindi, a mio modesto avviso, assolutamente meritata.

Basta che la smettiamo con le ipocrisie e le falsità.

 

Un Nobel contro i cambiamenti climatici?

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