Skip to main content

Cecilia Sala è rientrata in Italia. A lei e alla famiglia i più sinceri rallegramenti. Tutti possono tirare un sospiro di sollievo e una questione che nell’attuale clima incandescente che caratterizza il Medio Oriente, e in particolare le relazioni tra Stati Uniti e Iran, poteva prendere una bruttissima piega è stata risolta in tempi tutto sommato piuttosto rapidi, assai più di quanto accaduto con altri giornalisti occidentali “detenuti” negli ultimi anni in Iran.

È stato un ottimo lavoro di squadra dove, tuttavia, la svolta è stata rappresentata dall’avocazione del dossier da parte di Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, che ha imposto la sua visione politica giocando abilmente sui tempi. Sala è rientrata prima della visita del presidente statunitense Joe Biden a Roma, prevista e poi cancellata per la grave situazione in California, e prima dell’insediamento del presidente eletto Donald Trump tra meno di due settimane.

Inevitabilmente, in questi casi, specialmente quando è coinvolto un giornalista, i media italiani subiscono enormi pressioni dalla opinione pubblica. Ma coloro che si sono trovati a dover gestire queste situazioni sanno benissimo che il silenzio è d’oro e che quanto si legge sui giornali, nel migliore dei casi, è inaccurato.

Ci sarà tempo per tutte le ricostruzioni del caso e non è detto che tutti i passaggi verranno resi noti anche perché le trattative condotte in tali circostanze si basano molto su allusioni piuttosto che asserzioni esplicite. Alcune non possono essere dette, alcuni atti ufficialmente non possono essere compiuti.

La visita di Meloni a Trump non va formalmente inquadrata nella soluzione del caso Sala ma ha avuti motivazioni ben più ampie legate probabilmente a un pre-posizionamento a tutela degli interessi del Paese in quadro politico europeo in magmatica evoluzione ancor prima che il presidente eletto entrerà nuovamente nello Studio Ovale. È tuttavia più che plausibile che a quest’ultimo un accenno sugli aspetti politico e giuridici della vicenda dal punto di vista italiano sia stato fatto. Del resto, Trump, costituzionalmente, non può nemmeno affrontare la questione dell’eventuale mancata estradizione dell’ingegnere iraniano Mohammad Abedini prima del suo giuramento il 20 gennaio prossimo. In ogni caso, se un discreto ma fermo messaggio doveva pervenire a Mar-a-Lago questo ha avuto luogo ed è stata Meloni a deciderne forma e contenuto.

La nostra diplomazia ha sicuramente avuto un’interazione maggiore con le autorità iraniane mentre alla nostra intelligence è spettato l’aspetto logistico e organizzativo – aspetti non banali in queste vicende – a conferma che quando vuole l’Italia riesce a fare sistema. 

Un ulteriore fattore che ha giovato in questo ambito sono state le prerogative riconosciute al ministro della Giustizia in questi casi che, in qualche modo, pongono il governo al riparo da possibili irrigidimenti della magistratura italiana sia per quanto riguarda la detenzione che l’’eventuale estradizione del cittadino iraniano.

È plausibile inoltre che in questa circostanza, nella prevedibile attesa del “ciclone Trump”, a Teheran abbia prevalso il buon senso e che per una volta l’ala dialogante del regime abbia avuto la meglio sui falchi, oggettivamente indeboliti dai rovesci subiti nelle ultime settimane in Medio Oriente, a partire dalla Siria.

La vicenda è ora risolta. E un’altra chiave per il felice esito di questi casi è quella di negare formalmente qualunque collegamento tra i due casi (Sala e Abedini) per lasciare a tutte le parti un’onorevole via di uscita. Il portavoce del ministero degli Esteri a Teheran nei giorni scorsi aveva negato tale collegamento e bene ha fatto bene il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, a ribadirlo dopo che la notizia del rilascio e della partenza della Sala è stata confermata.

In conclusione, per ora sembrano esserne usciti tutti bene. Meloni incassa un grande successo ed era pronta a ricevere oggi Biden senza che il governo italiano si sia ancora espresso formalmente sulla sorte di Abedini – quindi il presidente uscente americano non avrebbe rischiato di ritrovarsi in imbarazzo. Trump si insedierà quando con molta probabilità i riflettori su questa vicenda si saranno già spenti e mentre già si profilano contrapposizioni con i principali Paesi europei, di cui agli strali di Elon Musk verso Regno Unito, Francia e Germania, di cui l’Italia di Meloni potrebbe addirittura beneficiarne con una “special relationship”. Infine, anche a Teheran una situazione potenzialmente irritante e pericolosa è stata disinnescata.

Le prossime settimane saranno tuttavia cruciali, soprattutto in Medio Oriente, e nella misura in cui Meloni è stata abilmente in grado di instaurare rapporti privilegiati potrebbe essere opportuno, al momento giusto, spendere questo capitale politico a Washington per evitare potenziali iniziative, soprattutto verso l’Iran, che potrebbero riflettersi negativamente anche sul nostro Paese.

Il triangolo Roma-Teheran-Washington spiegato dall’amb. Castellaneta

La presidente del Consiglio ha imposto la sua visione politica giocando abilmente sui tempi. La nostra diplomazia ha sicuramente avuto un’interazione maggiore con le autorità iraniane mentre alla nostra intelligence è spettato l’aspetto logistico e organizzativo – aspetti non banali in queste vicende – a conferma che quando vuole l’Italia riesce a fare sistema. Il commento dell’ambasciatore Giovanni Castellaneta, già consigliere diplomatico a Palazzo Chigi e ambasciatore negli Stati Uniti

Meloni svela 5 nuovi Paesi obiettivo del Piano Mattei. La risposta a Formiche

In occasione della conferenza stampa di inizio anno, il presidente del Consiglio rispondendo alla domanda di Formiche.net annuncia che Angola, Ghana, Mauritania, Tanzania e Senegal saranno i nuovi Paesi nei quali il Piano Mattei opererà e promette: “Le due grandi sfide secondo me per il 2025 sono internazionalizzare ed europeizzare il piano, ovvero il lavoro che l’Italia ha già cominciato a fare con il G7”

Obiettivo 2027. Cosa aspettarsi dal vertice del Ramstein Group

L’Ukrainian Defense Contact Group si riunisce per blindare il sostegno all’Ucraina con obiettivi di portata triennale e nuove tranche di aiuti. Nell’ultima sessione a cui partecipa il suo fautore Lloyd Austin

Perché Rizzi farà bene alla guida dell'intelligence. L'analisi di Caligiuri

La nomina di Vittorio Rizzi a direttore del Dis va nella direzione giusta, perché ribadisce il valore collettivo della sicurezza, la cui salvaguardia è un bene per tutti. L’analisi di Mario Caligiuri, presidente della Società italiana di intelligence e direttore del master in Intelligence (Università della Calabria)

Un poliziotto moderno al Dis. Chi è Vittorio Rizzi

Il prefetto prende il posto di Belloni. Meloni: “Un funzionario dello Stato di primo ordine” che ha ottenuto “straordinari risultati operativi” che “sono apprezzati sia dentro che fuori i confini nazionali”. Al suo posto, come vice Aisi, il generale Cuzzocrea (Gdf)

Diplomazia degli ostaggi. Ecco la nuova strategia Usa

Il dipartimento di Stato ha pubblicato il piano per prevenire le detenzioni arbitrarie, evidenziando la collaborazione internazionale, la sensibilizzazione sui rischi e il coinvolgimento del settore privato e della società civile. Anche perché, si legge, Stati come l’Iran non sembrano intenzionati a rinunciare a questo strumento

Cecilia Sala, quando l’intelligence fa la differenza. Il commento di Teti

Di Antonio Teti

L’operazione di liberazione della nostra connazionale Cecilia Sala rappresenta senza alcun dubbio un indiscutibile successo dell’attuale governo in carica, ma nel contempo va evidenziato lo straordinario contributo fornito dall’Aise e dalla indiscutibile e rilevante competenza e capacità del generale Giovanni Caravelli, quale direttore dell’Agenzia. Il commento di Antonio Teti

Un Donald Trump da leggere senza i paraocchi della polemica politica. L'analisi di Polillo

Nei nuovi scenari internazionali conta sempre più l’hard power rispetto al sistema di alleanze. Specie se i possibili alleati, come nel caso dell’Europa, tendono troppo a non assumersi le responsabilità che derivano dall’essere partecipi di un comune destino. Tutti i punti dell’intervento del presidente eletto analizzati da Gianfranco Polillo

Perché la crisi dell'auto può svegliare l'Europa. Parla Pozzi

La drammatica situazione di una delle industrie più importanti del Vecchio continente altro non è che il prodotto dell’assenza di una vera politica lungimirante, in grado di andare oltre la semplice sopravvivenza. Ma ora tutto questo può essere una grande opportunità di crescita. Conversazione con Cesare Pozzi, economista e docente Luiss

×

Iscriviti alla newsletter