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Per usare un classico dei detti, piove sul bagnato in Cina. I mercati, si sa, hanno l’occhio lungo. E si aspettano per i mesi a venire nuove nubi sull’economia del Dragone, già alle prese con una moneta decisamente spompata. Stavolta il problema si chiama deflazione, ovvero quando i prezzi sono bassi perché la domanda è anemica. E prezzi bassi, vuol dire cattiva salute dell’economia. I calcoli, stavolta, li ha fatti Bloomberg.

Gli investitori nel mercato dei titoli di Stato cinese, che vale 11.000 miliardi di dollari, non sono mai stati così pessimisti riguardo alla seconda economia mondiale e alcuni di loro stanno ora scommettendo su una spirale deflazionistica simile a quella del Giappone negli anni Novanta. Tanto è vero, rivela l’agenzia di stampa, che i “rendimenti delle obbligazioni sovrane cinesi con scadenza a 10 anni sono crollati nelle ultime settimane ai minimi storici, creando un divario senza precedenti di 300 punti base con gli omologhi statunitensi, nonostante una serie di misure di stimolo economico annunciate dal governo del presidente Xi Jinping“.

Come si spiega? “Il crollo, che ha trascinato i rendimenti cinesi molto al di sotto dei livelli raggiunti durante la crisi finanziaria globale del 2008 e la pandemia di Covid, sottolinea la crescente preoccupazione che i politici non riusciranno a impedire alla Cina di scivolare in un malessere economico che potrebbe durare decenni. Un prolungato attacco di deflazione stroncherebbe uno dei più grandi motori di crescita economica del mondo, aggiungerebbe nuove tensioni sulla stabilità sociale nel secondo paese più popoloso e aumenterebbe i deflussi di capitali che hanno portato a un esodo record dai mercati finanziari cinesi alla fine dello scorso anno”.

Il paragone con la terribile crisi dei prezzi giapponese di 30 anni fa, c’è tutto. Goldman Sachs ha per esempio fatto sapere che il caso del Giappone offre un libro di ricerca prezioso per gli investitori azionari cinesi che sono stati scossi dal peggior inizio di un anno in quasi un decennio. E poi, “sia la Cina che il Giappone hanno subito un crollo immobiliare, con investimenti privati deboli, un consumo tiepido, un massiccio eccesso di debito e una popolazione in rapido invecchiamento”, sottolinea ancora Bloomberg.

Tutto questo mentre lo yuan è scivolato sempre in queste stesse ore ai minimi da 15 mesi, nonostante la People’s Bank of China (Pboc), ovvero la Banca centrale cinese, abbia mantenuto stabile la sua fascia di trading (compravendita di titoli, ndr) giornaliera per il renminbi onshore. Ironia della sorte, mentre le stesse autorità monetarie e finanziarie tenevano incontri con gli investitori internazionali e la stessa Pboc ribadiva la sua determinazione a mantenere stabile la valuta.

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