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Quando si muove un braccio, è dal cervello che parte il comando, attraverso il midollo spinale. Quando c’ è un problema al cervello, al midollo o all’arto stesso, muovere le braccia o le gambe può risultare difficile se non impossibile. Nel film Star wars, ormai trent’anni fa, apparirono per la prima volta al cinema le braccia artificiali. Oggi, tutto questo è diventato realtà. Nella storia, le protesi hanno fatto la loro apparizione con gli uncini mossi da cavo nel 1912. Cinquant’anni dopo, c’è stato il primo piccolo passo in avanti con l’avvento delle prime pinze mioelettriche. Infine, solo dieci anni fa, sono state introdotte le protesi antropomorfe. dobbiamo ammettere che, sfortunatamente, questo straordinario sviluppo è stato in larga parte stimolato dagli orrori prodotti dalla guerra, soprattutto negli Usa, dopo la guerra in Afghanistan e poi quella in Iraq, attraverso l’istituzione della defense advanced research projects agency (darpa), per dotare di protesi antropomorfe i soldati che avevano perso degli arti in guerra. Oggi la scienza è capace di riprodurre degli arti che somigliano in tutto e per tutto a quelli umani, con spalle, gomiti e dita.

Ma come si controllano queste protesi? Le persone che hanno subìto l’amputazione di un arto conservano ancora delle informazioni sui pattern muscolari; determinando questi pattern e decodificando questa informazioni con l’uso dell’intelligenza artificiale è possibile raggiungere il controllo delle protesi in modo estremamente naturale.

Questo rende gli amputati capaci di compiere una grande quantità di operazioni importantissime per la loro vita quotidiana. Lo step successivo consiste nell’utilizzare il nostro cervello per muovere gli arti. Parliamo quindi di neuroprotesi, il cui punto di partenza sono le interfacce neuronali. Il cervello umano ha circa 80 milioni di neuroni e 125mila miliardi di sinapsi, è quindi un sistema incredibilmente complesso. I neuroni inviano dei messaggi in codice; codice prodotto dal cervello che raggiunge poi gli arti. Le nuove protesi sono in grado di decodificare queste informazioni e muoversi a comando. Una persona amputata è capace di muovere braccia, mani e dita attraverso gli impulsi cerebrali. Nel cervello, l’area della corteccia somatosensoriale è quella deputata a controllo degli arti e alla ricezione degli stimoli sensitivi del tatto. È possibile registrare l’attività elettrica dell’encefalo (Eeg) o possiamo addirittura impiantare dei microchip nel cervello per registrare l’attività dei neuroni e per controllare le protesi. Abbiamo condotto una serie di esperi- menti su pazienti interamente paralizzati; attraverso degli elettrodi impiantati nel cervello, in grado di decodificare i segnali neuronali, i pazienti possono muovere le braccia robotiche. L’obiettivo che si vuole raggiungere è un controllo bidirezionale. Non vogliamo solo far passare il messaggio neuronale agli arti, ma vogliamo anche rinviare al cervello il dato sensoriale. Soprattutto la sensazione tattile, la temperatura, il dolore. Questo è l’oggetto di molte ricerche che si stanno conducendo in Europa e a livello internazionale. Gran parte del focus è sul senso del tatto.

La nostra pelle è piena di recettori tattili, che danno le sensazioni di freddo, caldo, tatto, variazioni di pressione e dolore. Quindi è necessario dotare le protesi di una pelle artificiale che riesca a riprodurre queste sensazioni tattili. A questo  ne è stata creata una e-skin, una pelle elettronica che riceve le sensazioni tattili. La ricerca è riuscita a riprodurre il senso del dolore, con dita sensibili al contatto con oggetti appuntiti e in grado di rispondere proattivamente. Nel futuro, la s da è dotare le persone disabili di braccia e gambe che non siano solo funzionali, ma anche esteticamente pregevoli. Ovviamente sarà impossibile dotare tutte le persone che soffrono di disabilità di protesi che costano milioni e milioni di dollari. La s da però è quella di migliorare le protesi low-cost per far vive- re meglio tutte le persone con disabilità.

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