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“Patriottismo e non nazionalismo” è questo il mantra che Giuseppe Valditara formula sin dall’inizio del suo mandato di governo, e questi due sinonimi trovano collocazione nell’illustrazione didattica che può avvenire solo ed esclusivamente attraverso l’insegnamento dell’Educazione Civica. Valditara ci è riuscito, è stato capace di reinserire nei programmi scolastici una materia che da molti anni – 34 per la precisione – mancava e che diversi suoi predecessori avevano tentato, invano, di riadottare.

In molti altri stati si insegna ad amare il proprio Paese, la propria storia, attraverso diversi riti. Ad esempio, negli Stati Uniti, si canta l’inno prima di iniziare le lezioni, nei Paesi Bassi si insegna a rispettare le generazioni passate per apprezzare la libertà presente, nel Regno Unito ad ammirare gli ideali della famiglia reale per riconoscersi in un solo popolo. Diversi modi di riscoprirsi una comunità anche in relazione a quelle che sono le teorie classiche sugli studi sociali, teorie necessarie a costruire società forti e solide in caso di tentativo di destabilizzazione della struttura democratica. Basterebbe ricordare gli enunciati sul funzionalismo di Talcott Parsons, di Merton o di Niklas Luhmann.

Era 1958 quando l’allora Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, su proposta del ministro della Pubblica istruzione Aldo Moro, emanò il decreto n. 585 del 13.6.1958, che stabiliva l’insegnamento dell’educazione civica nelle scuole di ogni ordine e grado. Ben trentaquattro anni senza una materia necessaria a formare l’individuo nella società di individui, valori e regole di convivialità.

Ma da settembre le novità della “rivoluzione valditariana” saranno anche relative all’avvento prepotente e repentino del digitale che, come già detto da istituti di ricerca e osservatori internazionali, va rivisto e, possibilmente, governato per il bene dei nativi digitali. Proprio in queste ore sono stati pubblicati i dati dell’Istituto Spallanzani in materia di dipendenza giovanile e l’uso dei device per il gioco d’azzardo desta particolare preoccupazione. Il 40% degli adolescenti afferma di usare gli smartphone per effettuare scommesse on line e frequentare sale da gioco virtuali. Un ambiente bidimensionale tossico per i ragazzi, per questo la scuola ha il dovere, insieme agli altri enti deputati alla sicurezza dell’ecosistema digitale, di intervenire per sottrarre i giovani dalle insidie del nostro tempo.

Cambia la società e cambiano le minacce che possono coinvolgere i ragazzi e lo Stato ha il dovere morale, oltre che costituzionale, di mitigare le insidie. Il divieto di Valditara a settembre sarà applicato e, ove necessario, dovrà servire anche a formare il carattere attraverso il diniego e l’uso moderato e responsabile di uno strumento che ha lo stesso valore di altre tecnologie. Gli insegnanti dovranno essere da esempio e i benefici del digital detox dovranno essere discussi con le famiglie. Non si tratta di scelte ideologhe o politiche, ma di applicare misure indicate da chi si occupa della salute fisica e cognitiva dei discenti e dei ragazzi in generale.

E ancora, l’importanza di occuparsi a scuola di sicurezza stradale, un altro annoso problema della nostra società che, di fatto, va da subito affrontato in ambito scolastico. Divulgare la consapevolezza che la guida di mezzi motorizzati rappresenta un potenziale pericolo per sé stessi e per gli altri cittadini; avvicinare i ragazzi alla bellezza dell’esplorazione senza l’uso di cellulari alla guida e senza l’uso di sostanze alteranti.

Tanti capitoli che la scuola aveva, già da anni, l’obbligo di affrontare ma che per troppo tempo sono stati trascurati a discapito di famiglie, educatori e del sistema Paese. I primi dati di queste scelte saranno disponibili tra un anno ma certo è che una “rivoluzione scolastica” cosi forte e coraggiosa non era mai stata pensata dall’avvento di internet e del relativo cambio di paradigma dell’organizzazione delle società e dei processi sociali.

Educazione civica e buone pratiche digitali. La nuova scuola di Valditara

Di Adriano Pagliaro

Cambia la società e cambiano le minacce che possono coinvolgere i ragazzi, e lo Stato ha il dovere morale, oltre che costituzionale, di mitigare le insidie. Dall’educazione civica a quella stradale, passando per le sfide del digitale, si prospetta una vera e propria “rivoluzione scolastica”

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