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Per una volta, la gran parte dei commentatori ha visto giusto. Si diceva, a ridosso delle scorse elezioni politiche, che Giorgia Meloni probabilmente avrebbe avuto la stoffa per reggere la presidenza del Consiglio, ma che il suo principale problema fosse quello di rappresentare un partito che, balzato improvvisamente dal 4 al 26% non disponeva di una classe dirigente adeguata. Adeguata a ruoli di governo.

La conferma fu repentina. I ministeri chiave, Economia, Interni ed Esteri, furono subito attribuiti a tecnici o a rappresentanti di altri partiti; sui rimanenti ci sarebbe da discutere. Santanchè, Lollobrigida, Sangiuliano… Persino Adolfo Urso, che tra tutti pareva il più strutturato, ha dato adito a più d’un dubbio e a non poche ironie. Per non parlare dei vertici delle aziende pubbliche, dove quando non sono stati confermati tecnici di conio draghiano ci si è imbattuti in più d’un imbarazzo…

Da quando il governo è nato, punto di riferimento delle classi dirigenti nazionali ed europee e dei ceti produttivi è stato indiscutibilmente il ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto. Un democristiano che da Forza Italia ha poi aderito a Fratelli d’Italia. L’altro considerato affidabile è il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, altro punto di riferimento apprezzato in quanto affidabile. Di Raffaele Fitto tutti dicono: è persona seria, competente, un gran lavoratore. Dovendo affidare a qualcuno la grana dei Pnrr, Giorgia Meloni è a Fitto che naturalmente scelse di affidarla. E ora che ha la possibilità di esprimere un vicepresidente della Commissione europea o un commissario economico di peso è sempre a Fitto che pensa. Altri, evidentemente, non ce n’è.

Giungono, ora, i risultati dei ballottaggi delle elezioni amministrative. Un mezzo disastro. Emblematico il fatto che in una città simbolo della cultura nazionale nonché dell’egemonia della sinistra, Firenze, il centrodestra in generale e Fratelli d’Italia in particolare abbiano pensato di candidare un tedesco: il direttore degli Uffizi Erike Schmidt. Dopo anni di retoriche polemiche contro i sovrintendenti e i direttori museali stranieri, è stato proprio ad uno “straniero” che la destra si è affidata. Altri, evidentemente, non ce n’erano. Ed è proprio questo vuoto di alternative, di nomi e di teste pensanti, dopo un anno e mezzo di governo, a denunciare il problema. Il problema è che per la destra di governo il mondo può iniziare, ma non può certo finire a Colle Oppio.

Per la destra di governo il mondo non può finire a Colle Oppio. Il commento di Cangini

Dopo anni di retoriche polemiche contro i sovrintendenti e i direttori museali stranieri, è stato proprio ad uno “straniero” che la Destra si è affidata. Altri, evidentemente, non ce n’erano. Ed è proprio questo vuoto di alternative, di nomi e di teste pensanti, dopo un anno e mezzo di governo, a denunciare il problema. Il commento di Andrea Cangini

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